La normativa delle cosiddette società “di comodo” ha da sempre manifestato forti contraddizioni con il mondo dell’agricoltura che rappresenta un settore sempre più complesso e ricco di sfaccettature, in netto contrasto con la rigidità delle regole previste dalla disciplina delle società non operative.
Agli inizi degli anni ’90, il legislatore, con la L. 724/94, art. 30, ha introdotto una disciplina volta a misurare il reale svolgimento di attività economiche di quelle società, costituite a scopi evasivi, che utilizzavano il mezzo societario come schermatura del possesso di alcuni beni per beneficiare indebitamente di una tassazione ridotta.
Lo scopo della norma è quello di misurare “l’operatività” della società utilizzando alcuni parametri, con la conseguenza che se non si raggiunge un livello di ricavi congruo, la società dovrà comunque dichiarare un reddito minimo.
Inoltre, la norma trova applicazione anche quando:
- la società presenta dichiarazioni dei redditi in perdita fiscale per 5 esercizi consecutivi e a decorrere dal sesto periodo;
- nel medesimo arco temporale, le società siano per quattro esercizi in perdita più uno in cui abbiano dichiarato un reddito inferiore a quello minimo.
Nonostante la legge abbia “semplicemente” l’intento di disincentivare l’adozione di una struttura societaria non adeguata rispetto all’attività effettivamente esercitata, molto spesso ha comportato una distorsione delle regole di mercato a scapito di settori difficilmente inquadrabili entro rigidi parametri numerici. Per tali motivi la disciplina delle società di comodo racchiude in sé due grandi limiti:
- colpisce anche i soggetti pienamente operativi che però non riescono a raggiungere i margini lordi previsti dalla norma;
- lascia indenni società (immobiliari o di gestione delle partecipazioni) che, pur riuscendo ordinariamente a raggiungere la redditività lorda nella misura richiesta dalla norma, sono di fatto prive di “impresa”.
La normativa, però, prevede delle attenuazioni a beneficio di quelle società che, pur non operative secondo i parametri di calcolo, vogliono sfuggire alle pesanti conseguenze in tema di imposte dirette e IVA:
- cause di esclusione endogene, ossia previste dallo stesso legislatore nel testo normativo;
- cause di disapplicazione automatica previste da apposito decreto direttoriale;
- disapplicazione previo interpello in presenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi;
- disapplicazione senza interpello, ossia dandone comunicazione in sede di dichiarazione dei redditi.
L’applicazione della disciplina in esame è stata esclusa anche per il settore agricolo: con il Provvedimento Direttoriale 11/06/2012 sono state introdotte una serie di fattispecie di disapplicazione automatica che hanno permesso alle “società agricole” di evitare l’applicazione della disciplina delle società di comodo previo rispetto di determinate condizioni richieste dal D.Lgs. 29 marzo 2004 n. 99.
In altre parole, a seconda del tipo di società agricola (cooperative agricole di conferimento, cooperative agricole di conduzione, società semplici, srl, snc, sas) e dell’attività svolta dalla stessa, è possibile beneficiare della disapplicazione della disciplina delle società non operative.
Sulla questione si veda l’articolo “La disciplina delle società di comodo: le società agricole tra esclusione e disapplicazione” pubblicato sulla Rivista n. 05 di ConsulenzaAgricola.it.
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