La Commissione Tributaria di Vicenza ha accolto il ricorso di un contribuente che aveva provveduto ad emettere delle note di variazione in diminuzione nei confronti di alcuni clienti a fronte della ragionevole probabilità che questi ultimi non fossero in grado di saldare il loro debito.
L’orientamento espresso dalla Commissione vicentina si pone in contrasto con quello dell’Agenzia delle Entrate che invece ritiene necessaria la presenza di elementi oggettivi che attestino l’irrecuperabilità del credito, anche nel caso in cui il recupero di importi modesti renda antieconomico l’avvio di procedure legali.
Il caso
Il caso trattato nella sentenza 145/2019 dalla CTP di Vicenza riguarda un’azienda che si è vista recapitare un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2013, per avere emesso venticinque note di variazione in diminuzione nei confronti di diversi soggetti esposti a procedure concorsuali (fallimenti e concordati preventivi).
L’Agenzia contestava che le note di variazione erano state emesse senza attendere i termini previsti dall’art. 26, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972.
L’Ufficio riteneva che, come letteralmente indicato nella norma, le note di variazione si sarebbero potute emettere solo a seguito della chiusura delle procedure concorsuali, in quanto solo allora vi sarebbe stata la certezza del mancato pagamento. Sicché, solo da quel momento, sorgeva il diritto dell’impresa di riportare a proprio credito l’imposta versata e non incassata.
L’impresa ricorrente, invece, riteneva applicabili i principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza del 23/11/2017, causa C-246/16 nella quale, con riferimento alle previsioni della normativa italiana, aveva sostenuto che il recupero dell’imposta solo alla conclusione delle procedure concorsuali potesse risultare contrario al principio di proporzionalità e che il termine decennale fosse sproporzionato e irragionevole.
La decisione della Commissione tributaria
I giudici vicentini hanno condiviso l’orientamento fornito dalla Corte di Giustizia secondo la quale l’articolo 90 della Direttiva 2006/112/CE ha introdotto una duplice facoltà:
- in caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri;
- in caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al punto 1.
Ebbene, la limitazione indicata al punto 2, secondo l’interpretazione offerta dai giudici della Corte di Giustizia, non può interpretarsi quale diritto degli Stati membri di escludere liberamente del tutto la riduzione della base imponibile IVA in quanto una siffatta previsione finisce per violare il principio di divieto di riscossione dell’imposta per un importo superiore a quello percepito ed al principio di neutralità.
Quindi la deroga di cui al punto 2 deve essere interpretata quale strumento messo a disposizione degli Stati membri in considerazione delle difficoltà o delle incertezze che possono caratterizzare il giudizio in merito allo stato di insolvenza del debitore. Pertanto, la disposizione consente il diritto degli Stati membri a non riconoscere il diritto alla rettifica della detrazione fintanto che il mancato pagamento non diventi ragionevolmente certo.
Le stesse considerazioni devono applicarsi specularmente anche alla detrazione applicata dal debitore.
Secondo l’Alta Corte, la rettifica della base imponibile dell’IVA e il recupero della relativa imposta alla conclusione di una procedura concorsuale può risultare contrario al principio di proporzionalità. Tale valutazione va effettuata in concreto dal giudice nazionale ma, in ogni caso, un termine decennale appare sproporzionato ed irragionevole.
Il principio espresso dalla Corte del Lussemburgo indica chiaramente che il diritto comunitario consente la variazione in diminuzione ogni qualvolta il soggetto IVA ravvisi con ragionevole certezza che il debito non potrà essere saldato, salvo poi procedere con la variazione in aumento nel caso in cui il pagamento venga effettivamente eseguito.
Nella fattispecie, la domanda di concordato preventivo e la relazione del curatore nel caso di fallimento attestano con sufficiente ragionevolezza il fatto che il debito non venga saldato.
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