In caso di mancata stipula del contratto definitivo di compravendita immobiliare, a causa dell’esercizio del diritto di recesso da parte del promissario acquirente, la caparra penitenziale trattenuta dal promittente venditore non configura plusvalenza tassabile.
Questo è quanto emerge dalla sentenza 27129/2019, pubblicata il 23 ottobre dalla sezione tributaria della Cassazione.
Il caso
La controversia trae origine dalla promessa di vendita di un terreno agricolo di proprietà di un contribuente che non si era poi perfezionata con il successivo atto definitivo di trasferimento, in quanto la promissaria acquirente aveva esercitato il diritto di recesso.
A seguito di tale circostanza, il promittente venditore aveva incassato la caparra penitenziale versata dal promissario acquirente e tale somma, secondo l’Agenzia delle Entrate, costituiva plusvalenza tassabile, motivo per cui l’Ufficio emetteva un avviso di accertamento ai fini IRPEF.
La controversia giungeva sino in Cassazione a seguito del ricorso proposto dal contribuente, il quale denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2 e 67 lett. a) e b) del TUIR. In particolare il ricorrente lamentava non era configurabile una plusvalenza tassabile perché non si era perfezionata la cessione dei terreni, non avendo avuto seguito il preliminare di vendita.
La decisione
Vero è che, in base all'articolo 6, secondo comma del TUIR, i proventi conseguiti in sostituzione di redditi costituiscono redditi della stessa natura di quelli perduti e il principio vale anche per i risarcimenti di danni che consistono nella perdita di redditi. Tuttavia, la caparra penitenziale non può essere considerata provento conseguito in sostituzione di reddito.
I giudici di Piazza Cavour hanno posto in rilievo la distinzione tra caparra confirmatoria e caparra penitenziale escludendo che quest’ultima possa rappresentare un provento sostitutivo di reddito, poiché solo la prima esprime una forma di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.
Sulla base di tale principio, i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso del contribuente stabilendo che, nella fattispecie in esame, non vi è stata alcuna vendita dei terreni, non essendo stato stipulato l’atto definitivo di vendita e tale circostanza (assenza di una cessione a titolo oneroso) e ciò non può generare una plusvalenza tassabile in quanto “è esclusa in radice la possibilità di attribuire all’importo trattenuto dal promittente venditore, come caparra penitenziale per effetto dell’esercizio del diritto di recesso della società promittente acquirente, natura di "provento conseguito in sostituzione di reddito", nella specie plusvalenza, quale reddito diverso, assoggettabile a tassazione”.
I giudici di legittimità hanno precisato che la soggezione a tassazione dell’importo incassato dal promittente venditore non può essere affermata attribuendo alla caparra penitenziale una funzione risarcitoria.
Diversamente, l’incasso da parte del promittente venditore dell’importo si configura come corrispettivo del diritto di recesso, attribuito contrattualmente alla promittente acquirente e da quest’ultima esercitato. Tale qualificazione, a parere degli Ermellini, “impedisce di considerare la caparra incamerata come risarcimento della perdita dei proventi che, per loro natura, avrebbero generato redditi tassabili in ragione del conseguimento di una plusvalenza”.
Conclusione
Sulla caparra penitenziale il promittente venditore non paga l'IRPEF se il promissario acquirente esercita il proprio diritto di recesso facendo saltare il rogito dell’immobile. Infatti non viene a configurarsi alcuna plusvalenza tassabile perché l'atto definitivo di vendita non viene stipulato e la somma incassata dal primo costituisce soltanto il corrispettivo per l'esercizio del diritto di recesso da parte del secondo.
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