L’importanza e la continua applicazione del contratto di soccida da parte di tutti i più importanti allevatori hanno attirato l’attenzione dell’Agenzia delle Entrate.
Le controversie nascono spesso a fronte di avvisi di accertamento in cui l’Ufficio riqualifica la ripartizione degli accrescimenti in una soccida monetizzata, ponendoli quindi fuori campo IVA.
Tale contestazione comporta per il soccidario l’indetraibilità specifica dell’IVA sugli acquisti, inerenti all’attività di allevamento in soccida, con applicazione delle relative sanzioni.
Come funziona la soccida monetizzata?
Così come stabilito dalla norma, alla fine del ciclo, il soccidante ed il soccidario si ripartiscono gli utili derivanti dall’attività di allevamento, consistenti nell’accrescimento degli animali e negli altri prodotti utili che ne derivano (ad es. latte, uova).
La ripartizione degli utili può avvenire, a scelta delle parti, o con l’attribuzione al soccidario di un numero di capi corrispondenti agli accrescimenti da lui maturati, oppure, se previsto contrattualmente, tramite la monetizzazione degli animali a lui spettanti, sulla base del prezzo corrente di mercato nella settimana di consegna.
Il Ministero, con la Circolare n. 32 del 27 aprile 1973 e con la Risoluzione n. 504929 del 7 dicembre 1973, ha chiarito che l’assegnazione degli animali, al soccidante, da parte del soccidario, è una operazione esclusa da IVA.
L’esclusione da IVA di tali operazioni ha indotto l’Agenzia delle Entrate a negare il diritto alla detrazione ed al rimborso dell’imposta assolta dal soccidario (ovviamente in regime normale IVA) per operazioni inerenti all’attività di allevamento in soccida.
Ciò viene affermato in virtù del fatto che l’art. 19 comma 2 del D.P.R. n. 633/1972 nega la detraibilità dell’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o, comunque, non soggette all’imposta.
La riqualificazione della soccida
Pur in assenza di un accordo per la monetizzazione della ripartizione degli accrescimenti, qualora il soccidario ceda la propria quota al soccidante, l’Agenzia delle Entrate, a volte, riqualifica il rapporto in una soccida monetizzata.
Il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate è piuttosto semplice ed è incentrato su alcuni passaggi:
- la quota di accrescimento spettante al soccidario non è stata ceduta dallo stesso sul mercato, ma è stata determinata mediante le tabelle di conversione, normalmente allegate al contratto di soccida;
- la quota di accrescimento spettante al soccidario è stata quindi “monetizzata”, ossia è stata liquidata dal soccidante che ha provveduto a cedere sul mercato tutti gli animali allevati, corrispondendo al soccidario l'equivalente monetario della sua quota di accrescimento;
- la liquidazione monetaria della quota di accrescimento spettante al soccidario non costituisce operazione imponibile da assoggettare ad IVA.
Le argomentazioni dell’Agenzia sono state già in passato sconfessate dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, Sentenza n. 14791 del 15 luglio 2015, n. 27715 del 11 dicembre 2013 e n. 8727 del 10 aprile 2013) e di recente anche da una pronuncia della CTP di Ancona che, con la Sentenza n. 558/2019 si è espressa sull’argomento.
La pronuncia dei giudici
Secondo i giudici marchigiani, nel momento in cui il soccidario ha provveduto a vendere la quota parte di prodotto a lui spettante, in ragione dell’accrescimento ottenuto, fatturando le vendite dei beni con separata indicazione dell’IVA, tale operazione legittima la detraibilità dell’imposta a monte, a prescindere dal fatto che tali beni siano stati ceduti, anziché a terzi estranei, al soccidante.
In sostanza, non può esserci una differenza di trattamento IVA sugli acquisti, a seconda che il soccidario venda con fatturazione e applicazione dell’IVA i prodotti di sua spettanza a terzi o allo stesso soccidante, essendo la situazione fiscale esattamente la medesima in entrambi i casi.
Deve trovare dunque applicazione il principio generale di cui al comma 1 dell’art. 19 D.P.R. n. 633/1972, che sancisce il diritto alla detrazione dell’imposta assolta e addebitata in via di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi acquistati nell’esercizio dell’impresa.
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