La Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi in merito alla distinzione fra spese di pubblicità e spese di rappresentanza ai fini del rimborso dell’IVA.
La vicenda riguarda una società operante nel settore del luxury che aveva versato una somma di denaro a titolo di contributo per le spese di organizzazione di un evento mondano. Tale importo era stato destinato sia per ospitare i clienti affinché assistessero all’esposizione dei beni commercializzati dalla società, sia per realizzare un’opera di restauro della dimora storica in cui è stato organizzato l’evento.
Coerentemente con quanto affermato dalla giurisprudenza comunitaria in materia di detrazione dell’IVA per costi pubblicitari (Corte di Giustizia 25 novembre 2021 causa C-334/20), la Suprema Corte, con l’Ordinanza n. 14049 del 22 maggio 2023, ha ribadito che “il criterio discretivo tra le spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti”, atteso che:
- si considerano “di pubblicità e di propaganda”, le spese che possono determinare un incremento delle vendite, mediante l’acquisizione di nuova clientela o l’incremento delle vendite alla clientela già esistente, tramite messaggi mediatici ovvero attraverso altri mezzi di propaganda. Ai fini delle imposte dirette, queste spese sono interamente deducibili nell’esercizio del relativo sostenimento. Ai fini IVA, l’imposta è interamente detraibile;
- sono “di rappresentanza” le spese sostenute al fine di creare, mantenere e accrescere il prestigio della società e migliorarne l’immagine senza dare luogo ad aspettative di incremento delle vendite. Ai fini delle imposte sui redditi, queste spese sono deducibili nel periodo d’imposta del relativo sostenimento (art. 108, c. 2, del TUIR e D.M. 19 novembre 2008) e, ai fini IVA, l’imposta è indetraibile (ad eccezione degli omaggi).
Nel caso specifico, il Collegio ha rilevato che, in base alla normativa relativa al Codice dei beni culturali e del paesaggio (ex art. 120 del D.Lgs. 42/2004 e art. 10 della Legge 6 luglio 2002 n. 137), le attività sponsorizzate (ovvero il restauro e la promozione dell’immagine dell’impresa) dovevano ricomprendersi tra le “sponsorizzazioni dei beni culturali”[1].
Alla luce di ciò, la destinazione delle somme versate dalla società al restauro della dimora storica, nonché l’ampia diffusione della notizia relativa all’erogazione del contributo sugli organi di stampa, sono stati considerati indicatori decisivi per confermare la sussistenza di un ritorno in termini di immagine a favore della società erogante.
Per tale motivo, la Cassazione ha ritenuto di classificare le spese sostenute dalla società tra quelle di rappresentanza, confermando il diniego al rimborso dell’IVA.
[1] In tal senso, l’articolo 10 della Legge 137/2002 prevede che: “è sponsorizzazione di beni culturali ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per la progettazione o l’attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività del soggetto erogante”.
Redazione
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