Le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto fine al dibattito giurisprudenziale decennale riguardo alla tassazione della ricognizione di debito ai fini dell’imposta di registro.
Con la Sentenza n. 7682 del 16 marzo 2023 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che la scrittura privata non autenticata di mero riconoscimento di debito debba essere ricondotta, ai fini dell’imposta di registro, all’art. 4, Parte II della Tariffa del D.P.R. n. 131/1986, che assoggetta, in caso d’uso, le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale ad imposta fissa, attualmente nell’importo di euro 200.
Nel seguito si darà conto degli orientamenti giurisprudenziali in materia, oltre che del chiarimento fornito dalle Sezioni Unite riguardo alla definizione di caso d’uso.
I precedenti orientamenti giurisprudenziali
Le posizioni assunte dalla giurisprudenza della sezione tributaria della Corte possono ricondursi a tre filoni interpretativi:
- il primo vedeva la riconduzione della ricognizione di debito all’imposta proporzionale di registro, in termine fisso, nella misura del 3%. Secondo questa tesi, sostenuta anche nella decisione della Cassazione n. 17808/2017, la ricognizione di debito rientrerebbe nell’ambito dell’art. 9 della Tariffa, parte I, del D.P.R. n. 131/1986, che assoggetta all’imposizione proporzionale nella misura del 3% gli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”. Ciò, secondo i precedenti orientamenti giurisprudenziali, in ragione della considerazione secondo cui sarebbe “difficile negare che la patrimonialità pertenga all’obbligazione certificata in una scrittura ricognitiva di debito” (così, in motivazione, la Cass. n. 24107/14);
- nell’ambito del secondo orientamento si è affermato che - posto che non sempre è dato verificare se per l’atto sottostante alla ricognizione di debito risulti già versata o meno l’imposta dovuta - la dichiarazione, priva di contenuto patrimoniale, andrebbe ricondotta alla previsione di cui all’art. 3, parte prima, della Tariffa, che prevede l’assoggettamento all’imposta proporzionale nella misura dell’1% degli “atti di natura dichiarativa, relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura”, sempre soggetti all’obbligo di registrazione in termine fisso (cfr., tra le altre, Cass. n. 15190/2021; Cass. n. 3379/2020);
- secondo il terzo orientamento, sposato dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento, si è affermato il principio secondo il quale alla ricognizione di debito, avendo essa natura meramente dichiarativa e, come tale, non apportando alcuna modificazione né rispetto alla sfera patrimoniale del debitore che la sottoscrive, né a quella del creditore che la riceve e limitandosi a confermare un’obbligazione già esistente, deve attribuirsi natura di mera dichiarazione di scienza.
Alla dichiarazione di scienza sarebbe applicabile, quindi, né l’art. 9, parte prima, della Tariffa, né l’art. 3, parte prima della Tariffa, ma l’art. 4, parte II, della Tariffa, secondo cui, sono assoggettate, in caso d’uso, ad imposta di registro in misura fissa le scritture private non autenticate non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale (allo stesso modo Cass. n. 15268/2021; Cass. n. 481/2018).
Nel proseguire la propria analisi, la Cassazione ha evidenziato che, nel genus degli atti aventi natura dichiarativa, sono tendenzialmente distinguibili tre diverse categorie di atti:
- quella degli atti o negozi “dichiarativi” riferibili alle fattispecie nella quali si abbia, per effetto del negozio dichiarativo, una modificazione della situazione giuridica preesistente, senza che a ciò consegua, però, il prodursi di effetti obbligatori o reali;
- quella degli atti o negozi “ricognitivi” finalizzati, da parte di chi li pone in essere, a manifestare la propria consapevolezza in ordine ad una data situazione giuridica, non incerta, preesistente all’atto ricognitivo, situazione che pertanto non viene ad essere in alcun modo innovata, non ricorrendo, rispetto ad essa, alcun effetto costitutivo, modificativo od estintivo ad opera dell’atto ricognitivo;
- quella, infine, degli atti o negozi di accertamento la cui causa sia quella di rimuovere un’oggettiva e riconosciuta dalle parti situazione d’incertezza.
In ragione del fatto che la fattispecie su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite è riconducibile all’atto meramente ricognitivo di debito, le Sezioni Unite hanno ritenuto di enunciare il seguente principio di diritto: “La scrittura privata non autenticata di ricognizione di debito che, come tale, abbia carattere meramente ricognitivo di situazione debitoria certa, non avendo per oggetto prestazione a contenuto patrimoniale, è soggetta ad imposta di registro in misura fissa solo in caso d’uso”.
Se la ricognizione di debito non è un atto meramente ricognitivo. La recente sentenza della CGT di Roma
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma, con la Sentenza n. 3415/13/2023 depositata il 14 marzo 2023, ha precisato che, ove non abbia carattere meramente ricognitivo di una situazione debitoria certa, la ricognizione del debito, quale atto di natura dichiarativa, va assoggettata ad imposta di registro nella misura dell’1%.
In altre parole, se la ricognizione del debito non è meramente ricognitiva è legittimo il suo assoggettamento a imposta di registro secondo l’aliquota dell’1% prevista per gli atti dichiarativi.
Allo stesso modo, le Sezioni Unite, nella sentenza commentata, hanno condiviso il medesimo principio per cui “Laddove, infatti, a mero titolo esemplificativo, indipendentemente dal nomen iuris adoperato di ricognizione di debito, debba riconoscersi alla dichiarazione un effetto modificativo di una situazione giuridica obbligatoria preesistente, che assuma rilevanza patrimoniale” dovrà applicarsi l’art. 3, parte I della Tariffa, con obbligo di registrazione in termine fisso, da assoggettare ad imposta proporzionale secondo l’aliquota dell’1%, da applicare al valore del bene o del diritto oggetto dell’atto dichiarativo.
Principio di diritto riguardo al caso d’uso
Le Sezioni Unite, con la Sentenza n. 7682/2023 in commento, hanno affermato che il deposito di documento - precipuamente una nota di accompagnamento, contenente ricognizione di debito, depositata contestualmente ad assegno bancario in sede di ricorso - non costituisce “caso d’uso” in relazione all’art. 6 del D.P.R. n. 131/1986.
La Cassazione, infatti, ha ricordato che il caso d’uso, nell’ipotesi di deposito di un atto presso la cancelleria giudiziaria, si verifica se si tratta di una cancelleria che opera nell’ambito della giurisdizione volontaria, ma non se si tratta di una cancelleria che opera nell’ambito della giurisdizione “contenziosa”. Ciò in base al principio per cui la tutela giurisdizionale non può trovare ostacolo in un tributo dovuto in relazione ad atti da prodursi avanti al Giudice.
Redazione
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