L’ordinamento giuridico italiano non consente di trasformare una società in una ditta individuale. Tale operazione, infatti, deve essere configurata come una mera successione tra soggetti distinti.
Lo ha stabilito la CTP di Vicenza con la sent. n. 277/3/2017.
Il caso oggetto di controversia riguardava una SAS, di cui un contribuente era diventato unico socio a seguito dell’acquisto delle relative quote societarie. A seguito dell’operazione, l’acquirente aveva dichiarato di non voler attendere il termine semestrale, previsto dall’art. 2272, comma 1, numero 4 del Codice Civile, per la ricostituzione della pluralità dei soci.
Pertanto, il contribuente provvedeva allo scioglimento della società, senza però porla in liquidazione, proseguendo l’attività sotto forma di ditta individuale.
Successivamente, ad un anno dall’acquisto delle quote e dello scioglimento della società, il contribuente con un ulteriore atto pubblico precisava che per un mero errore nel contratto 2014 non era stato considerato che la SAS era proprietaria di due immobili.
Contro questo secondo atto, l’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di liquidazione, al fine di recuperare le maggiori imposte ipotecarie e catastali dovute. Nell’avviso, l’ufficio sosteneva che l’atto impugnato doveva ritenersi un atto integrativo di un precedente atto di scioglimento di società e continuazione dell’impresa come ditta individuale.
Al contrario, il contribuente eccepiva che tale operazione doveva essere qualificata come una trasformazione da società di persone a ditta individuale, assimilabile a quella prevista per le società, con la prosecuzione dei rapporti giuridici, così come stabilito dall’art. 2498 c.c.
Tale trasformazione, secondo il ricorrente, avviene in regime di neutralità fiscale ai sensi delle previsioni di cui all’art. 170 del TUIR (DPR 917/1986). Tale norma stabilisce che “la trasformazione della società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento”. Pertanto era da ritenersi corretta la determinazione delle imposte svolta.
Di parere opposto, però, si è mostrata la CTP vicentina, la quale ha fatto leva sul dispositivo della sentenza n. 496/2015 della Cassazione che si era occupata di un caso simile. Nel richiamato precedente, infatti, i giudici di legittimità avevano sostenuto che se un socio di una società di persone non ricostituisce la pluralità dei soci e prosegue l’attività come impresa individuale “non si realizza una trasformazione societaria ai sensi dell’art. 2498 cod. civ. ma solo una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che conferisce l’azienda (la società di persone in liquidazione) e la persona fisica che ne è beneficiario (il socio superstite)”.
A ben vedere, infatti, il richiamato art. 2498 c.c. non contempla l’impresa individuale, precisando che la legge consente sempre la trasformazione con riferimento al passaggio da un ente a un altro ente.
Questo è giustificabile anche tenendo conto degli interessi dei potenziali creditori della società che, in assenza di una fase di liquidazione, vedrebbero concorrere sui beni sociali anche i creditori personali del socio divenuto imprenditore.
In conclusione, quindi, la CTP di Vicenza ha chiuso le porte alla possibilità di identificare come una trasformazione il passaggio da una società ad un’impresa individuale. L’interpretazione della Commissione vicentina offre lo spunto per riflettere sulla gestione di queste operazioni che, troppo spesso vengono affrontate con leggerezza senza considerare i numerosi interessi in gioco.
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