Svegliarsi una mattina, recarsi in banca per ritirare del denaro dal proprio conto corrente e scoprire di avere il conto bloccato a causa di un pignoramento operato da parte dell’ente responsabile della riscossione: sembra un incubo, ma in Italia può diventare realtà.
Il nostro ordinamento, infatti, attribuisce al Fisco la possibilità di procedere al pignoramento dei conti correnti seguendo regole peculiari, regole diverse rispetto a quelle previste per il pignoramento presso terzi previsto dal codice di procedura civile per i soggetti privati.
Per questi ultimi, infatti, è prevista una procedura più complessa, disciplinata dall’art. 543 del codice di procedura civile, che prevede una lunga serie di formalità ed obblighi di notifica sia in capo al creditore che al debitore, passando per l’intervento del giudice nella procedura: solo la perdurante inerzia del debitore, consentirà di procedere alla riscossione coattiva.
Decisamente più semplice, invece, è il percorso che deve seguire l’ente riscossore per poter bloccare i conti correnti dei contribuenti debitori del Fisco:
- l’esattore deve soltanto notificare al debitore e alla banca l’atto di pignoramento; ciò può essere fatto non prima di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, ma non oltre un anno da tale data;
- una volta emesso l’atto di pignoramento, il conto corrente sarà bloccato per 60 giorni, periodo in cui la banca non può consentire alcun tipo di operazione al correntista;
- decorso il termine di 60 giorni senza che il contribuente abbia pagato il debito, l’ente riscossore potrà richiedere il trasferimento delle risorse nella propria disponibilità.
Il contribuente, quindi, ha 60 giorni dall’atto del pignoramento per poter sbloccare il proprio conto corrente e può farlo optando per una delle seguenti modalità:
- pagando il debito;
- chiedendo la rateazione del debito e dimostrando il pagamento della prima rata;
- proponendo opposizione all’esecuzione e ottenendo la sospensione dell’esecuzione forzata da parte del giudice (concessa solo nei casi di valide e gravi ragioni).
Nell’ambito dei pignoramenti presso terzi svolti dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, come sopra affermato, tutto ruota attorno all’atto di pignoramento. Il quale può essere emesso entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, ovvero entro 180 giorni dall’intimazione di pagamento di cartelle già notificate. Per il contribuente, non è dato sapersi di più sul tempo della procedura.
Il problema è che, nell’ambito delle esecuzioni forzate svolte su conti corrente, la notifica dell’atto di pignoramento deve essere fatta sia alla banca che al contribuente; tuttavia, è solo dalla comunicazione all’istituto bancario che scatta il blocco delle operazioni.
Nel silenzio della norma circa l’obbligatorietà di darne preventiva o contemporanea notifica al debitore, sempre più spesso l’ente riscossore invia la prima notifica del pignoramento alla banca, per poi procedere successivamente alla comunicazione dell’esecuzione al contribuente.
Pertanto, può accadere che un individuo, un giorno, recandosi in banca, scopra di non avere più accesso al proprio conto corrente. Pare scontato affermare come questo possa creare enormi problemi: in mancanza di liquidità, il pignorato potrebbe anche trovarsi in difficoltà nel reperimento di beni di prima necessità, dal cibo ai farmaci, senza alcun preavviso.
Senza pensare al caso in cui fosse stato emesso un assegno: in caso di blocco del conto corrente, infatti, questo non potrà essere pagato e verrà protestato, con le conseguenti sanzioni irrogate dalla Prefettura.
Concludendo, non resta che mettere in guardia tutti i soggetti che, dopo aver ricevuto una cartella di pagamento da parte dell’Agenzia, devono essere sempre pronti a fronteggiare situazioni di emergenza collegate al pignoramento del conto corrente. Auspicando che, quanto prima, il Legislatore possa intervenire al fine di garantire anche al contribuente la tempestiva notizia delle procedure a suo carico.
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