Collaborazioni professionali e lavoro subordinato: il tema è delicato e quanto mai attuale, vista la recente approvazione della Legge n. 128/2019 che ha esteso la disciplina del lavoro subordinato anche ai rapporti in cui le prestazioni sono svolte prevalentemente in maniera personale, continuativa e organizzata dal committente.
Sulla riqualificazione di collaborazioni professionali in rapporti di lavoro subordinato, però, si è recentemente espressa anche la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 23520 del 20 settembre 2019, ha espresso sul tema alcuni principi importanti.
Il caso
Oggetto di controversia era il corretto inquadramento del rapporto di un medico all’interno di un ospedale privato, rapporto che secondo i giudici di merito (tanto in Tribunale, quanto in Corte d’Appello) era da ritenersi come un rapporto di lavoro subordinato e non di collaborazione professionale come formalmente concordato tra le parti.
Secondo i magistrati, infatti, rappresentavano chiari sintomi di subordinazione:
- l’inserimento del medico all’interno dei turni con i lavoratori dipendenti sulla base di quanto previsto dal primario;
- l’utilizzo del medico per sostituzioni improvvise, anche in reparti non di competenza;
- la firma di un foglio presenze.
Pertanto, secondo i giudici, il rapporto di collaborazione oggetto di causa doveva essere trasformato in un rapporto di lavoro subordinato, ma contro tale decisione l’ospedale presentava ricorso in Cassazione.
La decisione dei giudici di legittimità
Chiamata a pronunciarsi sul caso, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ospedale, sostenendo che il rapporto lavorativo in esame era da ritenersi a tutti gli effetti un rapporto di lavoro subordinato.
Tale convincimento maturava nei giudici sulla base di alcuni indicatori, definiti come criteri complementari o sussidiari, necessari per valutare la subordinazione in tutti quei casi in cui, per la tipologia di lavoro o di mansione, sia difficilmente apprezzabile la direzione continua del datore di lavoro e la sua organizzazione del lavoro stesso.
Pertanto, sulla base della natura dei compiti assegnati, interamente predeterminati da parte dei soggetti sovraordinati e di natura prevalentemente esecutiva, tale lavoratore era da ritenersi un lavoratore subordinato a tutti gli effetti, nonostante la diversa tipologia di rapporto contrattuale, poi riconvertito dai giudici.
Con tale sentenza, la Cassazione ha ribadito che l’elemento discriminante tra lavoro subordinato e lavoro autonomo è da ricercarsi nella modalità di essere del rapporto, sulla base di una serie di circostanze che devono essere valutate complessivamente.
Tra queste, devono essere valutate le modalità di espletamento del rapporto, nonché i vari elementi sussidiari quali l’autonomia nella gestione del lavoro, l’assoggettamento a direttive programmatiche, la facoltà di scelta tra espletamento dell’attività lavorativa e la fruizione di periodi di riposo.
Pertanto, in conclusione, ai fini del discrimine tra collaborazione e lavoro subordinato, è necessario valutare l’effettiva volontà delle parti, la quale si manifesta nel concreto atteggiarsi durante la durata dell’intero contratto di lavoro.
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