I recenti provvedimenti del Governo, al fine di contenere l’isolamento delle persone per limitare il diffondersi dell’epidemia da Coronavirus, pur incentivando il lavoro a distanza e l’utilizzo dei periodi feriali, non hanno bloccato le attività lavorative.
I provvedimenti dell’8 e 9 marzo 2020 hanno disposto limitazioni per alcune attività ma consentono gli spostamenti per motivi di lavoro.
Dato che molte attività lavorative non possono essere svolte con il lavoro a distanza e prevedono che il personale addetto operi in equipe o a contatto con il pubblico, il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare le misure più idonee a contenere il rischio di contagio e, conseguentemente di diffusione del virus.
A sua volta, tutti i cittadini, compresi quindi i lavoratori, ai sensi dell’art. 3 del DPCM 8 marzo 2020, sono tenuti a limitare i propri spostamenti (lett. c) e a dare comunicazione del loro rientro, a partire dal 23 febbraio scorso, da viaggi in zone a rischio epidemiologico COVID-19 al Dipartimento di prevenzione dell’ASL competente ed al proprio medico di famiglia al fine di attivare un monitoraggio a distanza e in isolamento domiciliare (lett. m).
Visto il diffondersi dei casi di contagio, un altro elemento da attenzionare è il caso di contatti con soggetti infetti o a rischio.
Nel momento in cui è diagnosticato un caso di infezione da COVID-19, il paziente viene intervistato per comprendere quali siano le persone con le quali è venuto in contatto nelle settimane precedenti. Ciò consente al personale sanitario di contattare tutte le persone a rischio, monitorarle e metterle in isolamento domiciliare per almeno quattordici giorni dall’ultimo contatto avuto con la persona infetta.
Cosa può fare il datore di lavoro
In tale contesto, è consentito al datore di lavoro invitare i lavoratori ad effettuare le comunicazioni agli organi sanitari competenti, agevolando le modalità di inoltro delle stesse. Lo stesso vale anche nel caso in cui, nell’ambito delle attività lavorative, il lavoratore sia venuto in contatto con persone infette o a rischio. Anche in tale ipotesi, il lavoratore, direttamente o per tramite del datore di lavoro, comunica tali circostanze alle autorità sanitarie competenti.
Inoltre, il datore di lavoro potrebbe pensare che, vista la gravità della situazione contingente, sia opportuno istituire l’obbligo per il lavoratore di produrre un’autocertificazione in cui dichiarare eventuali comportamenti a rischio, in modo da consentire l’adozione di misure preventive.
Il Garante delle Privacy ha eccepito che i datori di lavoro non possono raccogliere a priori, in modo sistematico o tramite specifiche richieste, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali o circa i suoi contatti più stretti e, comunque, al di fuori della sfera lavorativa.
Pertanto, tali attività, non essendo previste nei provvedimenti straordinari adottati nelle ultime settimane, non possono essere adottate motu proprio dal datore di lavoro.
Le finalità di prevenzione della salute pubblica sono riservate esclusivamente ai soggetti che istituzionalmente effettuano tale attività.
Al datore di lavoro spetta il compito di aggiornare la valutazione dei rischi approfondendo il rischio biologico derivante dal COVID-19, in collaborazione con il proprio RSPP ed il medico competente.
Il datore, oltre ad effettuare una formazione specifica sul rischio biologico, dovrà inoltre adottare le misure preventive volte a garantire le distanze di sicurezza, evitare gli assembramenti, aumentare i ricambi d’aria, mettere a disposizione saponi e disinfettanti per le mani e fornire il personale dei dispositivi di protezione individuale quando necessari.
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