L’emergenza Coronavirus ha messo in grave difficoltà la sostenibilità economica del nostro Paese e, per questo, il Governo ha previsto una norma che vieta i licenziamenti dei lavoratori per due mesi.
Nel Decreto Legge 18/2020 è infatti prevista una norma di sospensione dei licenziamenti, in cui si stabilisce che “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604?.
In particolare, stando anche a quanto esposto nella relazione illustrativa:
- è precluso per sessanta giorni l’avvio delle procedure per licenziamenti individuali e collettivi;
- nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti;
- durante tale periodo il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo.
L’obiettivo del Governo è di indurre datori di lavoro e lavoratori a far ricorso agli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, come la cassa integrazione, oppure a far ricorso al lavoro agile, alle ferie e a qualsiasi modalità che eviti il licenziamento.
Licenziamenti collettivi
Le procedure di licenziamento, stando alle disposizioni normative, sono precluse per sessanta giorni, a decorrere dall’entrata in vigore del Decreto Legge per l’emergenza COVID-19. In particolare, l’art. 24 dispone che “si applicano alle imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia. Tali disposizioni si applicano per tutti i licenziamenti che, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione”.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Inoltre, la norma prevede che “sino alla scadenza del suddetto termine (sempre i 60 giorni dell’entrata in vigore del Decreto Legge per emergenza Coronavirus Covid-19), il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604?.
In altre parole, ai sensi dell’art. 3 della Legge 604/1966, il licenziamento può essere intimato “per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Il licenziamento è di fatto vietato, in quanto il datore di lavoro non può recedere per giustificato motivo oggettivo per sessanta giorni.
Licenziamenti disciplinari per giusta causa o giustificato motivo soggettivo
Nonostante la norma preveda l’impossibilità di licenziamento per sessanta giorni dall’entrata in vigore del Decreto, restano salvi i casi in cui il licenziamento sia dovuto a comportamenti del lavoratore, per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ossia i licenziamenti per motivi disciplinari.
Si tratta del recesso, da parte del datore di lavoro, attraverso il procedimento disciplinare ai sensi dello Statuto dei Lavoratori, che scatta a seguito di gravi, ovvero gravissime e irreparabili mancanze commesse dal lavoratore che danno luogo al cosiddetto licenziamento in tronco (licenziamento per giustificato motivo soggettivo e licenziamento per giusta causa).
Qualsiasi tipologia di licenziamento dà diritto alla percezione dell’ex indennità di disoccupazione ora denominata NASPI.
Va detto, infine, che restano possibili le dimissioni del lavoratore, anche per giusta causa. In quest’ultimo caso, in presenza di accertate inadempienze del datore di lavoro, è possibile ottenere la prestazione a sostegno del reddito, ossia la NASPI.
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