Ogni due anni, il Ministero delle Finanze, di concerto con il MIPAAFT, provvede all’aggiornamento del decreto allevamenti, tramite cui è possibile determinare quali e quanti capi possono rientrare all’interno del reddito agrario ai fini della corretta determinazione delle imposte dirette.
A tale fine è stato quindi approvato il D.M. 15 marzo 2019, il quale è ancora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, con cui il Ministero ha fornito numerose conferme e apportato alcune novità rispetto alla precedente formulazione contenuta nel D.M. 15 giugno 2017, il quale richiamava genericamente l’originario decreto del 2006.
A cosa serve il decreto?
Come noto, ai fini delle imposte dirette, le attività di allevamento possono essere distinte in tre macrocategorie:
- allevamenti condotti senza connessione con il terreno, i quali sono produttivi esclusivamente di reddito di impresa;
- allevamenti condotti in connessione con terreni potenzialmente idonei a produrre almeno un quarto dei mangimi necessari, i quali sono produttivi di reddito agrario;
- allevamenti condotti in connessione con terreni potenzialmente non idonei a produrre almeno un quarto dei mangimi necessari; tali attività sono produttive di reddito agrario per la parte coperta dai terreni, mentre l’eccedenza è tassata secondo i principi di cui all’art. 56, comma 5 del TUIR, ossia attribuendo a ciascun capo un reddito pari al valore medio del reddito agrario riferibile a ciascun capo allevato entro il limite medesimo, moltiplicato per un coefficiente idoneo a tener conto delle diverse incidenze dei costi.
Il decreto interministeriale approvato con cadenza biennale ha lo scopo di determinare entro quali limiti l’attività si considera produttiva di reddito agrario e di fissare valori e coefficienti al fine di quantificare l’impatto fiscale delle relative eccedenze.
A tale scopo, il D.M. 15 marzo 2019 si compone di tre tabelle: la prima individua le fasce di qualità del terreno, la seconda viene utilizzata per determinare la tariffa media di reddito agrario per ciascuna fascia di terreno e le unità foraggere producibili per ettaro, mentre la terza stabilisce quali siano le specie animali che rientrano nella determinazione del reddito a parametri, la durata del ciclo di allevamento e il relativo imponibile per ogni capo eccedente.
Cosa prevede il decreto?
In buona sostanza, all’interno del D.M. 15 marzo 2019 sono confermati tutti i valori già previsti dai precedenti documenti normativi, relativamente alle specie già contenute nei precedenti decreti.
La novità, invece, consiste nell’inserimento di nuove specie animali tra quelle che possono essere allevate all’interno del reddito agrario. In particolare, sono state aggiunte all’elenco:
- le tartarughe (con valori diversi in base all’età o alla dimensione del carapace);
- alcune famiglie dei camelidi, come alpaca, lama e guanachi.
In forza di tali modifiche, quindi, a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi sarà possibile tassare in maniera forfettaria anche nuove categorie di animali, con interessanti risvolti per chi, fino ad ora, era costretto ad assoggettare a reddito di impresa interi allevamenti.
Ai fini dichiarativi, però, si attende una rapida risposta da parte dell’Agenzia, la quale dovrà procedere all’aggiornamento dei vari modelli Redditi che, ad oggi, non risultano ancora allineati con le novità normative.
La speranza è che, comunque, esso rappresenti un mero passaggio formale e non una fonte di disguidi e problemi in vista di una campagna redditi che si preannuncia, come ogni anno, bollente.
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