Ampia è la giurisprudenza in materia di contratti difformi, in cui preliminare e definitivo presentano clausole, pattuizioni o importi tra loro diversi. Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con la sentenza n. 20541 del 30 agosto 2017 non solo rinverdendo un consolidato orientamento, ma aggiungendo anche ulteriori interessanti spunti interpretativi.
La sentenza in commento ha ribadito la prevalenza del contenuto del contratto definitivo in caso di discordanza con il preliminare, fatta salva la manifesta volontà delle parti di mantenere alcune clausole da quest’ultimo previste.
Tale principio, come detto, è già stato più volte affermato da parte dei giudici di legittimità: ad esempio si possono citare le conformi sentenze 9063/2012 o 15585/2007, ma medesime conclusioni si possono trovare anche nelle più risalenti decisioni 1337/1959 o 4935/1981.
Particolarmente interessante, però, è l’analisi del caso di specie che offre importanti spunti di riflessione. Se, infatti, i casi sopracitati riguardavano clausole presenti nel preliminare poi scomparse o alterate nel definitivo, la sent. n. 20541/2017 si è pronunciata su una situazione diversa.
L’oggetto della controversia era infatti un contratto definitivo che presentava le stesse clausole ma un prezzo inferiore di quello preliminare. Nel caso, l’importo pattuito nel preliminare era quello realmente concordato, mentre la differenza rispetto al definitivo rappresentava un classico caso di pagamento in nero.
La Cassazione ha affermato che il contratto valido è quello definitivo, perché è quest’ultimo che costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto.
Tale impostazione, però, produce conseguenze particolari rispetto al caso specifico. Trattandosi di una simulazione relativa di contratto, le parti avevano consapevolmente stipulato i contratti in maniera difforme, essendoci la concorde volontà di redigere il preliminare al prezzo reale e il definitivo ad un prezzo “ridotto”.
Accogliere l’impostazione proposta, però, produce alcuni effetti distorsivi. L’oggetto della controversia in commento riguardava un caso di simulazione contrattuale e non tanto un caso di difformità tra preliminare e definitivo.
Optare per la prevalenza del contratto definitivo, in casi come questi, significa dare un appiglio a tali pratiche evasive, validando il contratto definitivo, ossia quello simulato.
Peraltro, come rilevano alcuni autori in dottrina, a ben vedere, il vero prodotto della fase di contrattazione tra le parti è il contratto preliminare. Se è vero che è il contratto definitivo a produrre effetti, la volontà delle parti si riversa nella forma più pura all’interno del preliminare. Pertanto, un ribaltamento di prospettiva aprirebbe la porta ad una migliore valutazione delle concrete intenzioni dei contraenti: in caso di difformità tra i contratti, infatti, basterebbe dimostrare la volontà delle parti di aver voluto effettivamente modificare il contratto preliminare.
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