La tematica delle servitù di uso pubblico esula del tutto da quella dei rapporti interprivatistici. Dette servitù sono diritti reali sui generis e atipici appartenenti a una collettività, finalizzati a soddisfare un interesse pubblico di questa. Il diritto di uso, all'opposto, è un diritto reale limitato tipizzato dal Legislatore, che è strettamente legato al beneficiario e, quindi, è temporaneo e, comunque, tale da non eccedere la durata della vita del suo portatore, potendo avere a oggetto sia l'uti che il frui. Il suo contenuto, almeno con riguardo alla possibilità di raccogliere i frutti, è definito in relazione a ciò che occorre ai bisogni dell'usuario e della sua famiglia. Il diritto d'uso, regolato dal codice civile con delle disposizioni specifiche e, per quanto non previsto, dalle norme sull'usufrutto (articolo 1026, cod. civ.), quindi, non ha nulla a che vedere con la servitù di uso pubblico, la quale ha una disciplina non tipizzata, eventualmente desumibile da quella degli usi civici e, in minor misura, dei beni demaniali, spetta a una collettività, mira a soddisfare un interesse generale di questa, ha ad oggetto solo l'uti e non il frui ed è tendenzialmente imprescrittibile. Ne consegue che l'ICI è dovuta dal proprietario delle particelle, non potendo applicarsi il D.Lgs. 504/1992, articolo 4.