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Cessione aree edificabili, cosa fare nel caso in cui il prezzo di vendita sia inferiore al valore della perizia

Alla luce della riapertura dei termini per la rivalutazione delle aree edificabili, i soggetti che intendono procedere alla vendita di un’area ad un prezzo inferiore rispetto a quello che era stato attribuito in sede di una precedente rivalutazione e relativo affrancamento, possono optare per tre diverse soluzioni.

La riapertura dei termini, ma con l’aliquota raddoppiata, è stata prevista dall’art. 1, comma 627 della L. 190/2014 (Legge di Stabilità per il 2015), che concede ai proprietari la possibilità di rivalutare aree edificabili o partecipazioni, corrispondendo un’imposta sostitutiva del 4 o 8 per cento, a seconda del bene oggetto di rivalutazione.

Per poter usufruire di tale beneficio, è necessario che venga presentata una perizia giurata di rivalutazione entro il 30 giugno 2015; a tale scadenza, inoltre, dovrà essere versata anche la prima rata dell’imposta sostitutiva, o il suo intero ammontare.

In riferimento alle aree edificabili, è del tutto probabile che si verifichi la situazione in cui il valore attribuito all’area in una precedente rivalutazione, sia superiore al prezzo che gli acquirenti sono disposti a pagare per il suo acquisto (a causa dell’andamento del mercato immobiliare). In tale circostanza, per il venditore vi sono tre diverse strade percorribili, ognuna con costi e rischi diversi.

Al fine di fornire un esempio pratico, supponiamo che un contribuente sia in possesso di un terreno che anni fa era stato valutato 100.000 Euro; a seguito di una perizia, all’area è stato attribuito un valore di 750.000 Euro. Il contribuente ora ha la possibilità di cedere l’area, ma ad un prezzo di 500.000 Euro. Vediamo quali sono le possibilità, ai fini fiscali, che si presentano all’acquirente.

Perizia irrilevante nel rogito

Il contribuente potrebbe decidere di procedere con la vendita dell’area, senza richiamare alcuna perizia nel rogito.

È del tutto probabile che l’Agenzia proceda alla notifica di un avviso di accertamento, ritenendo inefficace l’intervenuto affrancamento e richiedendo al contribuente le imposte, con relative sanzioni ed interessi, sulla differenza tra il corrispettivo di vendita e il valore storico dell’area, rivalutato in base all’indice Istat. Nel nostro caso, la base imponibile per il calcolo delle imposte sarebbe 400.000 Euro.

Qualche Ufficio, per assurdo, considera come valore di cessione il valore iscritto in perizia (750.000 Euro), mentre altri riconoscono a decremento dell’imposta ordinaria così determinata, quella sostitutiva versata in occasione dell’affrancamento.

È del tutto evidente che si viene ad instaurare un contenzioso rilevante, quanto mento per il valore della controversia, dove la difesa può comunque citare molte sentenza a proprio fare (fra le altre C.T.R. Puglia n. 1111/7/2014 e C.T.R. Lombardia 1902/8/2014).

Il “pagamento a perdere”

Sfruttando la riapertura dei termini per la rivalutazione, il contribuente potrebbe far asseverare una nuova perizia, aggiornando il valore dell’area al prezzo di vendita concordato con l’acquirente.

Tale perizia al ribasso, prevista dalla Ris. 111/E/2010 delle Entrate, tuttavia potrebbe portare a un pagamento aggiuntivo di imposte a causa del raddoppio dell’imposta sostitutiva previsto dalla Legge di Stabilità. Oltre a ciò deve considerarsi anche il costo da sostenere per incaricare un professionista alla stesura di una nuova perizia.

Il doppio valore in atto

Infine, vi è un’ultima possibilità percorribile, fatta propria dalle Entrate con la circolare 1/E/2013.

In questo ultimo caso, il contribuente potrebbe evitare di effettuare una nuova perizia, citando nell’atto, quella precedentemente asseverata.

Ciò nonostante, il cedente potrebbe evitare il contenzioso, basato sulla presunta rinuncia all’affrancamento precedente, convincendo l’acquirente a corrispondere le imposte indirette calcolate sul valore presente nella perizia precedente (750.000 Euro), andando così incontro alla richiesta del legislatore circa il valore minimo di riferimento.

È comunque evidente che l’acquirente acconsentirà a tale richiesta, solamente se il venditore si accolla l’onere delle maggiori imposte indirette sul trasferimento.

Concludendo, la scelta che effettuerà il contribuente tra la seconda e la terza alternativa, si basa esclusivamente sulla convenienza economica, valutando quale delle due opportunità comporta un esborso inferiore; mentre l’eventuale scelta della prima opzione sarebbe effettuata da quei contribuenti che non intendono versare alcuna imposta aggiuntiva e non sono intimoriti dall’instaurare un contenzioso con l’Amministrazione Finanziaria (con il relativo pagamento delle competenze professionali e la corresponsione, anche in via provvisoria, delle imposte legate alla natura esecutiva dell’accertamento).

 



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