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Nuove modifiche al contratto di soccida

La Commissione Agricoltura della Camera dei deputati sta procedendo con la discussione di una proposta di legge che potrebbe modificare il contratto di soccida.

Stiamo monitorando lo stato di avanzamento di questa proposta, poiché se fosse approvata nella sua attuale forma, il contratto subirebbe modifiche alquanto peggiorative che potrebbero inquadrarlo al di fuori dal contesto agricolo.

La soccida nella forma attuale

Unitamente alla compartecipazione agraria, il contratto di soccida rappresenta l’ultimo contratto associativo ancora vigente nel quadro dei contratti agrari.

Questa forma contrattuale stabilisce che due soggetti imprenditori si associno nell’attività di allevamento di bestiame al fine di trarne un reciproco vantaggio.

Gli elementi fondamentali di tale contratto sono definiti dagli artt. da 2170 a 2186 del Codice civile, i quali definiscono anche le diverse forme che questo può acquisire. Nel contratto di soccida semplice, il più frequente nella prassi aziendale, il soccidante conferisce gli animali da allevare, mentre il soccidario provvede a fornire il lavoro necessario per la custodia e l’allevamento della mandria conferita secondo le direttive fornite dal soccidante. Solitamente, l’alimentazione viene fornita dal soccidante ma è comunque possibile che venga fornita dal soccidario.

Entrambi i soggetti partecipanti al contratto sono considerati imprenditori agricoli, in quanto svolgono  in forma associata l’attività di allevamento prevista dall’articolo 2135 del Codice civile, intesa come cura e sviluppo del ciclo biologico, o di una parte di questo, degli animali allevati. Ai fini Iva la circolare ministeriale 32/1973 considera imprenditore agricolo il soccidante solo nel caso in cui eserciti anche in proprio l’attività di allevamento.

Per quanto concerne la stima iniziale, prevista dall’art. 2141 del c.c., essa dovrà essere effettuata nel momento in cui inizia il rapporto contrattuale (le parti effettuano una stima degli animali conferiti dal soccidante) indicando «il numero, la razza, la qualità, il sesso, il peso e l’età del bestiame e il relativo prezzo di mercato». Tale stima ha come scopo la valutazione iniziale al fine di effettuare il raffronto alla fine del  contratto.

Una volta avviato il contratto, al soccidante spetterà il compito di conferire gli animali stabiliti e fornire le indicazioni in merito alle metodologie di gestione dell’allevamento; il soccidario invece dovrà svolgere l’attività di cura e allevamento degli animali conferiti secondo le indicazioni proprie del soccidante. 

Il vantaggio di tale contratto, è sancito dall’art. 2178 del c.c., il quale prevede che gli accrescimenti (sia come numero di parti conseguiti, che come aumento del valore intrinseco dei capi conferiti), i prodotti, gli utili e le spese siano ripartiti tra le parti secondo le proporzioni stabilite nel contratto stesso.

In  sostanza, soccidario e soccidante partecipano entrambi alla attività di impresa, vedendosi riconosciuti gli utili o le perdite in base all’andamento della attività di allevamento, in quanto non è possibile riconoscere un ritorno prestabilito in misura fissa in capo al soccidario. Infatti, se così fosse, la prestazione resa dal soccidario non potrebbe essere considerata come attività agricola, ma come mera prestazione d’opera; ciò comporterebbe la perdita della qualifica di imprenditore agricolo per il soccidario e non permetterebbe di qualificarne il reddito prodotto come redditi da attività agricola.

Al termine del contratto, le parti effettueranno una stima del bestiame ai sensi dell’art. 2181 del c.c., nello stesso modo in cui hanno provveduto alla stima iniziale, cosicché possa essere determinata la misura degli accrescimenti prodotti dalla attività di allevamento. Su tale stima, successivamente, soccidario e soccidante preleveranno i capi, ovvero gli accrescimenti, o ancora i prodotti derivanti dalla attività di allevamento, basandosi sulle percentuali di ripartizione precedentemente stabilite nel contratto.

E’ tuttavia possibile che il soccidante ritiri la totalità degli animali, degli utili e dei prodotti al termine del contratto, riconoscendo al soccidario un corrispettivo in denaro spettante per la propria quota. 

In questa ipotesi, la risoluzione ministeriale 504929 del 7 dicembre 1973 ha specificato che, se nel contratto di soccida è espressamente previsto che il soccidante provveda al ritiro di tutti gli animali, il compenso riconosciuto al soccidario non rappresenta un corrispettivo per la prestazione svolta, ma l’equivalente in denaro della propria quota di ripartizione dei frutti e come tale non è soggetto a Iva.

La proposta di legge

La nuova proposta al vaglio della Commissione Agricoltura, prevede lo sviluppo di nuove forme contrattuali nella filiera agroindustriale dell’allevamento di animali.

Nella nuova forma contrattuale, le imprese che oggi sono parti del contratto di soccida verrebbero denominate «impresa committente» il soccidante e «impresa di allevamento» il soccidario.

Tali definizioni inquadrerebbero il contratto al di fuori dei contratti agrari ed è del tutto probabile la perdita, in capo al soccidante, della qualifica di imprenditore agricolo.

Il soccidario non riceverebbe più una quota di animali, ma bensì un corrispettivo e questo non gli permetterebbe più di usufruire della tassazione catastale. Inoltre, l’allevatore dovrebbe avere la garanzia che il corrispettivo non sia inferiore al 30% rispetto alle spese produttive preventivate per l’attività di allevamento.

Il metodo di calcolo non è ancora del tutto chiaro, ma possiamo ipotizzare che si svilupperà come segue: se l’allevatore ha sostenuto costi di manodopera, energia ecc. per 100mila euro, il corrispettivo non dovrebbe essere inferiore a 130mila euro, ricordando che l’apporto di lavoro dell’allevatore non può essere considerato come costo.

La nuova proposta di legge, contiene anche alcune disposizioni di materia fiscale. Le imprese di allevamento che percepiscono un corrispettivo, determineranno il reddito nella misura del 20% delle somme percepite (attualmente i soccidari rientrano nel reddito agrario). Inoltre, il predetto compenso sarebbe esente da Iva, così il soccidario che costruisce oppure effettua delle spese di ristrutturazione sulle stalle non potrebbe usufruire del recupero dell’Iva spesa. Queste disposizioni sono peggiorative in confronto all’attuale regime fiscale del contratto di soccida.

Evidenziamo, infine, che al secondo capo della proposta legislativa, vengono introdotte alcune disposizioni che tutelano il contratto di soccida. Ciò porta a pensare che l’attuale forma contrattuale non venga abrogata. Pertanto, la nuova previsione contrattuale della attività di allevamento «per conto terzi» può essere un nuovo tipo di contratto non sostitutivo dell’attuale contratto di soccida.

 



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