La concessione del proprio terreno per l’apprensione delle erbe è una tradizione diffusa in molte regioni italiane - seppur con diverse sfaccettature - dettata da ragioni economiche ed agronomiche e che ben si concilia con il concetto di economia verde circolare.
Grazie alla pratica del c.d. pascipascolo, il proprietario del terreno beneficia del mantenimento del pascolo attraverso la concimazione naturale da parte degli animali di proprietà di un soggetto terzo. Contestualmente il concedente realizza un compenso per un appezzamento di terreno che non solo non avrebbe coltivato (anche momentaneamente), ma che forse l’avrebbe visto obbligato ad effettuare delle lavorazioni per mantenerne la produttività.
Con il venir meno in molte realtà delle attività di pascolamento e l’introduzione degli allevamenti intensivi, il contratto di pascipascolo si è spesso tramutato in una vendita di erbe, con cui il proprietario o il possessore del terreno concede ad un terzo di effettuare un certo numero di sfalci nell’arco di un determinato periodo.
Le fonti normative
Il contratto di pascipascolo o di vendita di erbe in piedi rientrano in diverse tipologie negoziali quali i contratti di compravendita (art. 1470 c.c.), che abbiano come oggetto l’erba in piedi, o quelli di vendita di cosa futura con eventuale clausola di speranza (art. 1472 c.c.).
I contratti di vendita di erbe tuttavia non riguardano le sole “erbe”, potendo avere un diverso oggetto contrattuale.
Questa forma di contratto risulta anche nella disciplina dell’affitto di fondo rustico (L. n. 203/1982) che, all’art. 56, cita la vendita delle erbe quale attività di coltivazione stagionale che esclude l’applicazione del contratto di affitto a coltivatore diretto, a condizione che la durata del contratto sia inferiore all’anno, che il terreno oggetto del contratto non sia destinato a pascolo permanente e che il compratore non eserciti sul fondo alcuna attività imprenditoriale (esclusa la raccolta o il pascolo).
Le erbe, oggetto del contratto, possono essere spontanee oppure seminate dal possessore o detentore del fondo (concedente).
La durata del contratto
La durata di questi contratti è stabilita dalla legge secondo cui il periodo massimo deve essere comunque inferiore ad un anno.
Si tratta quindi di un rapporto contrattuale di breve durata e precario.
È pertanto di fondamentale importanza, affinché il contratto non possa essere riqualificato in contratto d’affitto, che non vi sia una continuità temporale, anche mediante la sottoscrizione di successivi contratti.
In particolare, nel caso di vendita di erbe, la durata del contratto è quindi limitata allo svolgimento delle operazioni di raccolta ed è indeterminabile, nel senso che è legata a condizioni eventuali (tempi di maturazione, condizioni metereologiche, ecc.).
L’acquirente, durante le operazioni di raccolta, interviene con i propri mezzi ed il proprio personale; pertanto la responsabilità sui rischi e la sicurezza sul lavoro sono a suo carico.
Il venditore dovrà limitarsi a non interagire con le attività di raccolta ed a segnalare eventuali elementi di pericolo.
Aspetti fiscali
In base al D.P.R. n. 633/1972, le fatture devono indicare natura, qualità e quantità dei beni o servizi oggetto dell’operazione (art. 21).
La peculiarità di questo contratto è rappresentata dal fatto che sovente non è possibile determinare la quantità del prodotto oggetto di vendita. Ciò è immediatamente comprensibile nel caso di pascipascolo, nel qual caso le erbe oggetto della compravendita sono quelle apprese dagli animali. Cosicché è prassi definire un corrispettivo forfettario e nella fattura non si riporterà la quantità ma il riferimento al contratto di vendita.
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