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La legge di stabilità 2016, come noto, prevede la possibilità di assegnare i beni ai soci usufruendo di numerose agevolazioni, principalmente di tipo fiscale. Tale regime di favore, seppure per certi versi meno conveniente rispetto a quello relativo agli immobili di diversa destinazione, si applica anche alle assegnazioni di terreni agricoli.
Le società commerciali che non gestiscono direttamente i terreni agricoli di cui sono proprietarie, devono considerare con grande attenzione le opportunità presentate dal regime dell’assegnazione agevolata, in quanto il possesso di tali beni all’interno del patrimonio sociale può creare diverse problematiche.
La prima riguarda la disciplina delle società di comodo, in quanto le società generalmente non sono in grado di ottenere ricavi nella misura del 6% rispetto al valore del patrimonio sociale che, ad esempio, può essere composto da uno o più terreni agricoli, ricadendo quindi in un regime fiscalmente penalizzante. In tal caso, far uscire dalla società tali beni permette di normalizzare la situazione ai fini di una riduzione della pressione impositiva.
Inoltre, il terreno, facendo parte del patrimonio sociale, in caso di cessione genera sempre una plusvalenza tassabile che avrà un valore sempre più alto, tanto più tempo sarà passato dal momento dell’acquisto.
Tale plusvalenza si forma anche nel caso di assegnazione ai soci, ma essa viene tassata con un’aliquota forfettaria dell’8% (10,5% se la società non è operativa) da applicare sulla base imponibile formata dal valore catastale del terreno (reddito dominicale x 112,5). Nel caso siano presenti riserve in sospensione di imposta, esse sono soggette all’imposta sostitutiva del 13%.
Riteniamo che il valore dei fabbricati rurali non debba concorrere nella formazione della plusvalenza, essendo già compreso nella rendita catastale dei terreni.
Questa interpretazione è già stata adottata dall’Agenzia nella circolare n. 50 del 20 marzo 2000, ma la delicatezza del problema e i rilevanti interessi in gioco, impongono la massima cautela nell’adozione di questa soluzione, almeno fino a quando non arriveranno nuovi chiarimenti dall’Ufficio.
Per quanto riguarda l’imposta di registro, nell’ambito delle assegnazioni di fondi rustici e terreni si sconta un’imposta pari al 7,5%, la metà rispetto all’imposta piena del 15% prevista normalmente.
Se il socio assegnatario è IAP o coltivatore diretto, questi potrebbe addirittura avanzare richiesta di esenzione dall’imposta di registro secondo quanto previsto dal D. L. 194/2009 (agevolazioni per la piccola proprietà contadina): in tal caso, peraltro, non sarebbero dovute nemmeno le imposte ipotecarie e catastali, previste in misura fissa.
Tuttavia, quest’ultima agevolazione potrebbe essere applicata solo nei confronti del socio assegnatario già affittuario e coltivatore del fondo. Infatti, le agevolazioni PPC possono essere applicare sole se chi ne usufruisce si impegna a coltivare e a condurre il fondo per almeno un quinquennio; circostanza che non si potrebbe verificare nel coso in cui il terreno al momento dell’assegnazione risultasse affittato ad un soggetto diverso dal socio assegnatario.
Ci si chiede, infine, quale possa essere la base imponibile su cui applicare le aliquote dell’imposta di registro. Sebbene la norma non lo preveda espressamente, pare ragionevole farla corrispondere al valore catastale del terreno (evidenziamo che tale orientamento è stato adottato anche dal Consiglio Nazionale del Notariato con lo Studio 20 – 2016/T).