Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
La cessione di azienda agricola rappresenta un’operazione estremamente importante nel mondo dell’agricoltura, ma al tempo stesso essa presenta profili delicati e da non sottovalutare.
In questi ultimi giorni si sono letti alcuni articoli sull’argomento, che a nostro avviso meritano di essere approfonditi in quanto non condivisibili su alcuni punti.
Uno di questi riguarda l’emersione di plusvalenze tassabile nell’ambito del trasferimento dell’azienda, oppure l’imputazione del valore dell’avviamento sinonimo di azienda commerciale e non agricola.
Per provare a fare chiarezza sul tema, occorre partire da una risalente circolare ministeriale, la n. 9/9/52 del 21 marzo 1980, la quale ha precisato che l’azienda agricola è un bene non produttivo di reddito di impresa e, pertanto, non suscettibile di essere oggetto di imposizione. In tal senso, si veda anche la R.M. 6/9/1980 n. 9/1957.
Tale chiarimento rappresenta quindi la pietra angolare per poter sostenere che la cessione di azienda agricola intesa come “azienda costituita da terreni e fabbricati rurali, da scorte vive e morte, automezzi ed attrezzature e quant’altro” non è suscettibile di generare plusvalenze ex art. 86 comma 2 del TUIR.
Questi valori, infatti, risultano assorbiti all’interno del reddito agrario e, in quanto tali, sono soggetti ad imposizione secondo i parametri e le componenti indicate all’art. 32 del TUIR.
In tal senso si è più volte espressa anche la giurisprudenza: la CTR Piemonte (con la sentenza 10/2010) e la CTR Basilicata (con la recente sent. n. 5/2016) si sono pronunciate su casi simili in cui l’Agenzia delle Entrate aveva agito per recuperare le imposte relative alla plusvalenza formatasi a seguito della vendita di aziende agricole. In particolare, dovevano essere assoggettati ad imposizione i valori relativi alla cessione dell’avviamento.
Tuttavia, tanto i giudici piemontesi che quelli lucani hanno respinto tali pretese, facendo leva sull’interpretazione fornita al testo dell’art. 17, comma 1, lettera g) del TUIR: tale norma prevede che sono oggetto di imposizione le plusvalenze ottenute tramite cessioni a titolo oneroso di aziende possedute da più di 5 anni. Tuttavia, la norma predetta si riferisce soltanto alle imprese commerciali e, quindi, la sua applicabilità deve ritenersi esclusa per le aziende agricole.
Si ritiene doveroso precisare che affinché non vi sia emersione di plusvalenze è necessario che l’attività agricola sia esercitata entro i limiti previsti dall’art. 32 del TUIR. Detto articolo disciplina, infatti, la determinazione del reddito delle attività agricole, disponendo che, per tali attività, la base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito deve essere determinata esclusivamente sulla base del reddito agrario dei terreni.
Utilizzando ai fini della determinazione dell’imposta il sistema omnicomprensivo previsto dalla legge catastale, si può affermare che le eventuali plusvalenze per cessioni o conferimenti di aziende agricole non rilevano dal punto di vista fiscale, anche se contengono elementi tipici delle aziende commerciali come l’avviamento.
Non è possibile assoggettare ad imposizione le plusvalenze anche nel caso in cui l’attività agricola superi i limiti del predetto art. 32, ma solo nel caso in cui dette attività siano regolate da regimi forfettari. Per citare alcuni esempi, si pensi al caso di redditi da allevamento eccedenti il reddito agrario (art. 56, comma 5), vegetali in serre (art. 56-bis, comma 1), agriturismo (art. 5 legge 413/91) e attività connesse concernenti la manipolazione e trasformazione di prodotti agricoli (non compresi nel D.M. 13/02/2015) e fornitura di servizi (art. 56-bis, commi 2 e 3).
Se, al contrario, per tali attività si è optato per la determinazione analitica del reddito, così come previsto dall’art. 56 del DPR 917/1986, la cessione aziendale può dare origine a plusvalenze imponibili.
I principi poc’anzi espressi possono essere desunti anche dalla disciplina che regola le società che hanno optato per la determinazione del reddito su base catastale ai sensi dell’art. 32 TUIR (facoltà prevista dell’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Infatti, alla luce dei chiarimenti offerti dalla circolare 50/E del 2010 anche le cosiddette società in opzione possono escludere dalla plusvalenza i beni aziendali (esclusi gli immobili) acquistati in vigenza di tale regime.
Evidenziamo che l’esclusione dei beni immobili dai criteri di determinazione catastale del reddito è espressamente prevista dalla disposizione di natura antielusiva, contenuta nel comma 3 dell'articolo 5 del regolamento di cui al D.M. n. 213 del 27 settembre 2007.
Tale disposizione rappresenta una vera e propria deroga ai principi generali che conferma l’orientamento sin qui espresso.