Area Riservata

La Rivista | nº 08-09 Settembre 2021


Le precisazioni dell'Agenzia delle Entrate sulle attività connesse di servizi

di Alberto Rocchi, dottore commercialista e revisore contabile

Con la Risposta 446 del 2021 l’Agenzia delle Entrate fornisce un’apprezzabile precisazione sul perimetro di applicazione dell’art. 56-bis comma 3 TUIR, che prevede un regime impositivo forfettario a beneficio delle attività agricole connesse di prestazioni di servizi. Un altro importante tassello viene così aggiunto al castello interpretativo sul mondo dell’agricoltura e in particolare su quell’area di attività connesse che da sempre è apparsa meno intuitiva e sulla quale si sono concentrati in passato molti dei dubbi degli operatori.

  • 1. Le attività connesse di servizi nel sistema dell’art. 2135 c.c.

L’art. 2135 riformato nel 2001 considera “agricole” “le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata”. Il capoverso si colloca sempre nello stesso terzo comma della norma in cui trovano spazio le attività connesse di trasformazione, manipolazione, conservazione, valorizzazione e conservazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, dall’allevamento o dalla selvicoltura. Secondo la tassonomia condivisa, le due fattispecie, ancorché separate, vanno a costituire un gruppo formato da:

  • attività connesse di produzione
  • attività connesse di servizi

A queste, va aggiunta l’appendice costituita della attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità, che rappresentano una sorta di ibrido: concettualmente rientrano nel gruppo delle attività connesse di servizi, ma vi si discostano per oggetto e criterio di connessione.

Le attività connesse così definite, rappresentano nel sistema dell’art. 2135, un legittimo prolungamento dell’attività agricola al di fuori dell’agrarietà pura. Il legislatore vuole, in sostanza, offrire all’imprenditore agricolo la possibilità di trascendere oltre i confini dell’attività tipica per ampliare le opportunità di guadagno dell’azienda. Questa opportunità è subordinata al rispetto di una serie di condizioni, prima tra tutte quella di individuare un punto di contatto tra l’attività connessa e l’attività agricola di base; quello stesso punto che segna la saldatura tra l’attività accessoria (o servente) e quella principale (o servita). L’attività connessa resta così “attaccata” a quella agricola e conseguentemente attratta nel suo ambito. Verificandosi l’ulteriore condizione della prevalenza, avremo così la completa “agrarizzazione” di un’attività ontologicamente extragricola ed intrinsecamente commerciale. Ove venga meno la condizione essenziale dell’attrazione all’attività agricola, l’attività connessa tenderà a separarsi spezzando il rapporto simbiotico con l’attività principale e, di conseguenza, il vincolo di connessione; in questo caso si può parlare di attività indipendente e, quindi, dis-connessa e qualificabile in modo autonomo. Quando l’attività connessa realizza utilità e finalità del tutto indipendenti da quelle dell’impresa agricola, dà vita a un’azienda propria, nuova e separata. Chiediamoci ora: dove si colloca il punto di saldatura di cui parlavamo poc’anzi?

  • Sul prodotto per le attività connesse di produzione, che offrono all’imprenditore agricolo la possibilità di espandersi oltre l’agrarietà sfruttando i prodotti propri (manipolazione e trasformazione) o di terzi (approvvigionamento in misura non prevalente);
  • Sull’azienda per le attività connesse di servizi, che offrono all’imprenditore agricolo la possibilità di espandere l’utilizzo dei fattori di produzione: non più soltanto al servizio dell’attività primaria ma oggetto di scambio verso i terzi.

Da queste brevi premesse si può comprendere come l’attività connessa di servizi rappresenti un limite estremo verso cui tende l’espansione dell’attività agricola di base come consentita dal Codice Civile. Infatti la possibilità per l’imprenditore di offrire servizi a terzi, manifesta una “doppia funzionalità” dei fattori produttivi, potendo essi contemporaneamente essere strumentali all’attività primaria ma anche mezzo per la fornitura di servizi a terzi. Vanno pertanto fissati con precisione i limiti di questa funzionalità sia in termini quantitativi ma soprattutto come caratteristiche oggettive del servizio.

  • 2. I limiti oggettivi dell’attività di servizi

La lettura della norma ci conduce immediatamente al cuore della questione. Essa infatti parla di:

  • fornitura di beni o servizi;
  • utilizzo di attrezzature o risorse;
  • appartenenza di tali attrezzature all’azienda

Circa il primo aspetto, non poche perplessità ha suscitato tra i commentatori l’inserimento della parola “beni”. Considerando anche la genesi storica della norma, sorta comunque sulle ceneri del previgente art. 2135, sembrava evidente che il legislatore guardasse al concetto di multifunzionalità, in base al quale le aziende agricole possono sfruttare le proprie attitudini (e i propri mezzi meccanici) per fornire servizi di vario genere. Più difficile invece, immaginare di applicare lo stesso paradigma ai “beni”, in un contesto in cui si parla peraltro di “fornitura” e non di “cessione”. La Corte Costituzionale, nella nota Sentenza sul fotovoltaico, ha ritenuto di poter applicare il concetto di “fornitura di beni” all’attività connessa di produzione di energia elettrica, seguendo tuttavia un percorso logico non del tutto condivisibile. Va peraltro evidenziato che tutti i documenti interpretativi ufficiali che si sono occupati di analizzare la norma, hanno sempre fatto riferimento alla fattispecie della fornitura di servizi a terzi.

Anche il successivo riferimento ad “attrezzature” o “risorse” non appare formulato in maniera felicissima. Intanto, il termine “risorsa” è abbastanza inusuale, se attribuito all’azienda. Però si può dire che “risorsa” dell’azienda è tutto ciò che ne rende possibile il funzionamento: dai mezzi, al know-how, ai terreni, alle attrezzature, al personale. L’uso, pertanto, della disgiuntiva “o” accanto alla parola “attrezzature”, lascia più di una perplessità se, come appare logico, le “attrezzature” non sono altro che una delle “risorse” dell’azienda. Al di là di queste piccole imprecisioni, sembra comunque evidente che il legislatore abbia voluto far riferimento agli strumenti dell’azienda a disposizione dell’imprenditore.

E veniamo all’ultimo fondamentale punto. L’uso del termine “azienda” rimanda inevitabilmente all’art. 2555 c.c., pacificamente estensibile anche all’agricoltura dove, non meno che in altri settori, è possibile individuare astrattamente un aggregato di beni mobili, immobili e immateriali, atto a realizzare uno scopo. L’azienda, dunque, cui fa riferimento l’art. 2555 nel capoverso qui in commento, è proprio quell’aggregato di beni organizzati professionalmente dall’imprenditore per la produzione o lo scambio di beni e servizi (art. 2195). Essa si distingue nettamente dall’impresa, che invece comprende l’attività organizzata dell’imprenditore atta all’individuazione e reperimento delle entità più idonee per gli scopi perseguiti dalla gestione imprenditoriale. Questa distinzione tornerà utile fra breve per dirimere il caso esaminato nell’interpello dall’Agenzia delle Entrate.

  • 3. I limiti quantitativi dell’attività di servizi

Ogni attività connessa soggiace a dei limiti quantitativi che vengono di volta in volta individuati. Il principio è quello di stabilire una prevalenza dell’attività principale onde evitare che il ricorso all’attività connessa configuri, da parte dell’imprenditore, l’esercizio di una nuova impresa con finalità diverse dall’accessorietà a quella agricola. È proprio questa accessorietà che consente al legislatore di realizzare quella fictio juris in base alla quale attività intrinsecamente commerciali, vengono di fatto assimilate a quella agricola. La norma, rispetto alle regole di connessione vigenti per le attività connesse di produzione, fa riferimento a due parametri:

  • la normalità;
  • la prevalenza.

Con il primo parametro, il legislatore esige che le “attrezzature o risorse” da utilizzare nell’espletare l’attività di fornitura di servizi, siano “normalmente impiegate nell’attività agricola principale” (anche se non solo, come vedremo). Il concetto della normalità, reca con sé gli echi storici dei primordi della multifunzionalità, quando per delimitare l’estensione dell’attività agricola, si fece ricorso al concetto di “esercizio normale”. Qui però la normalità è riferita non tanto all’oggetto dell’attività, quanto ai mezzi (o risorse) dell’azienda agricola. In questo senso, è da considerarsi normale l’impiego in via continuativa e sistematica delle attrezzature nell’attività agricola principale. Questo aspetto non è mai stato in realtà debitamente approfondito nei vari documenti interpretativi dell’Agenzia delle Entrate, la quale si limita ad affermare, ragionando a contrario, che non è “normale” l’utilizzo occasionale e sporadico nell’attività agricola principale di attrezzature che, invece, sono impiegate con continuità e sistematicità al di fuori dell’attività di coltivazione del fondo, del bosco o di allevamento. La fattispecie potrebbe trovare una definizione più compiuta se si guarda alla norma nel suo complesso. Il riferimento all’azienda agricola, rimanda automaticamente a risorse della stessa: ovvero ad attrezzature che, se sono “dell’azienda agricola”, non possono che trovare impiego “normalmente” all’interno della stessa. Quello che tuttavia non è mai stato debitamente sottolineato, è che il controllo sulla normalità non si attua soltanto in fieri, osservando cioè la dinamica aziendale nel suo svolgimento, ma anche ab initio: l’acquisto di un mezzo già di per sé sovradimensionato rispetto alle esigenze dell’azienda agricola, potrebbe configurare un complesso aziendale che, sin dalla sua progettazione, per raggiungere il proprio equilibrio economico, non può fare a meno di essere utilizzato per l’erogazione di servizi a terzi. E questo è un indizio che depone fortemente per la configurazione di un’impresa con “doppia attività”: entrambe autonome, non l’una accessoria e l’altra principale. In altri termini, se è inevitabile che il macchinario, ancorché “normale”, abbia l’attitudine a servire sia l’attività agricola primaria che quella di essere utilizzato nei servizi a terzi, questa “doppia funzionalità” deve restare all’interno dei rigidi binari della normalità con valutazioni che debbono essere modulate sul singolo caso.

La norma, tuttavia, si spinge anche oltre ammettendo in realtà la possibilità che l’imprenditore, nel fornire servizi a terzi, si avvalga anche di mezzi “non normali”, ossia dedicati essenzialmente all’attività di conto terzi. Il limite della prevalenza, proprio in questi casi, serve a ricondurre l’attività nei limiti della connessione, imponendo, nell’erogazione del servizio, l’uso prevalente di mezzi normali rispetto a quelli non normali, ovvero specifici per il conto terzi.

  • 4. Il caso affrontato nella Risposta 446/2021

Un imprenditore agricolo svolge attività di allevamento e ingrasso di bovini. Per l'approvvigionamento dei capi di bestiame da allevare, il contribuente dichiara di rivolgersi a fornitori esteri e di svolgere, occasionalmente e senza vincoli di subordinazione, un’attività per altri allevatori italiani. Essa consiste nella descrizione della merce visionata in riferimento al peso, struttura, età, razza, qualità, stato di salute, qualifica sanitaria e, in generale, su ogni particolare che interessi per valutare l'opportunità o meno di procedere all'acquisto, al fine di permettere loro di avere gli strumenti e la consapevolezza necessari per formulare una proposta economica al fornitore. L'allevatore terzo decide autonomamente se acquistare o meno i bovini, concordando il prezzo direttamente con il venditore; la remunerazione è garantita da un compenso che, generalmente, viene corrisposto dal venditore/fornitore dei bovini. L’attività è secondaria e marginale rispetto all'attività agricola principale e i compensi ricevuti non assumono mai prevalenza rispetto al volume d'affari derivante dall'attività di allevamento di bestiame. Inoltre, si potrebbe ravvisare un rapporto di accessorietà rispetto all’attività principale in quanto l’imprenditore da un lato acquisisce maggiore autorevolezza e forza contrattuale con i fornitori per l'acquisto dei capi di bestiame destinati al proprio allevamento; dall'altro lato, avvia una serie di collaborazioni commerciali con altri allevatori italiani e macellatori per la successiva fase di vendita dei bovini. Può questa attività fruire del trattamento agevolato di cui all’art. 56-bis comma 3 D.P.R. 917/86?

Innanzitutto, vale la pena di precisare che la norma fiscale sopra richiamata, rimanda in pieno al contenuto dell’art. 2135 c.c.. Quindi, se si ammette che l’attività descritta può fruire della tassazione forfettaria, è implicito che essa venga riconosciuta come connessa secondo i dettami riassunti nei paragrafi precedenti.

Il contribuente, facendo anche leva sulle imprecisioni lessicali della norma (supra, par. 2), è dell'avviso che le “risorse” indicate dalla norma debbano essere intese in maniera ampia includendo tutti gli elementi che permettono all'attività aziendale un corretto ed efficiente funzionamento, tra cui rientrano anche le risorse umane funzionali all’iniziativa imprenditoriale stessa. Da questo punto di vista, la competenza e l’esperienza umana sono imprescindibili per fornire le informazioni richieste dai clienti. Quindi, in definitiva, si utilizzano le stesse risorse aziendali umane e materiali proprie dell’attività agricola principale.

La questione va affrontata in modo sistematico ricordando ancora una volta le caratteristiche delle attività connesse di servizi. Esse attengono alla fornitura di servizi mediante utilizzo di attrezzature normalmente utilizzate nell’azienda agricola. Sono due gli aspetti di fondo che, nel caso in esame, stridono con il dettato normativo:

  • l’oggetto della prestazione, che assomiglia più una prestazione professionale regolata dal contratto d’opera (se non a un’intermediazione vera e propria), che alla fornitura di un servizio come invece richiede la norma;
  • le competenze utilizzate: l’imprenditore istante, nel testo del quesito, si preoccupa di precisare che nell’espletare l’attività descritta, si avvale delle stesse risorse aziendali, umane e materiali dell’attività principale. In particolare, utilizza la sua esperienza maturata nel settore al fine di recare vantaggio alla propria attività di allevamento grazie all’avvio di una serie di collaborazioni commerciali con altri allevatori italiani e macellatori per la successiva fase di vendita dei bovini. Ma in questi termini, egli non sta utilizzando risorse dell’azienda, ma compiendo atti di organizzazione propri dell’impresa che dirige e grazie alle sue competenze personali che proprio a questo servono.

In definitiva, siamo ben al di fuori dell’ambito applicativo dell’art.2135 c.c., sia perché l’attività non configura propriamente una fornitura di un servizio, sia perché esso è reso sfruttando competenze e conoscenze personali dell’imprenditore (rectius: dell’impresa) che poco hanno a che vedere con le risorse dell’azienda di cui parla la norma.

L’Agenzia delle Entrate, nel rispondere all’interpello, va nella medesima direzione asserendo che

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  • 5. Qualche conseguenza pratica

Alla luce della Risposta 446/2021 si possono considerare definitivamente superate certe aperture che pure nella prassi erano state ipotizzate da più parti. Infatti, la centralità dell’oggetto della prestazione (fornitura di servizi) pone una cesura netta che esclude tutti quei casi in cui l’azienda agricola, invocando l’art.2135 c.c. e l’art. 56-bis TUIR, percepisce dei compensi a fronte dell’opera prestata dall’imprenditore stesso o anche dai suoi dipendenti. Si pensi al caso dei piccoli lavori di sistemazione di un fabbricato rurale fatti, nei periodi di ferma stagionale, da un dipendente dell’azienda su un fabbricato di un’altra azienda: non può parlarsi di utilizzo di risorse aziendali perché le competenze che vengono utilizzate sono quelle personali del dipendente. Allo stesso modo, l’imprenditore vitivinicolo che offre consulenze a terzi come enologo, non potrà che tassare questa attività come reddito di lavoro autonomo (occasionale o professionale). Al contrario, l’allevatore di cavalli che offra sporadicamente il servizio di pensionato per animali di terzi nelle stalle aziendali, potrà qualificare questa attività come “connessa di servizi” anche se svolta utilizzando il personale assunto nell’attività agricola di base.

 

 


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