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Nel mondo dell’agricoltura, la forma societaria di gran lunga più diffusa è, senza dubbio, la società semplice. Si tratta di uno strumento giuridico estremamente minimale e di semplice gestione, che deriva dall’evoluzione dell’antica comunione familiare, con cui gli agricoltori possono regolamentare la propria attività.
Per ragioni di opportunità, a seguito di litigi o semplicemente per sopraggiunti limiti di età, può accadere che uno dei soci voglia recedere dal contratto sociale e che debba essere liquidato della sua parte, tramite somme in denaro o assegnazioni di beni.
Il corretto inquadramento fiscale di tali versamenti è tutt’altro che banale: cogliamo quindi l’occasione per provare a fare chiarezza sulla materia.
Ai fini di un corretto inquadramento degli importi versati ai soci è necessario fare riferimento alla disciplina prevista dall’art. 20-bis del TUIR, in base al quale “ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all'articolo 17, comma 1, lettera l), si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 47, comma 7, indipendentemente dall'applicabilità della tassazione separata.”
Il richiamato art. 47, comma 7, stabilisce che “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.”.
L’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 64/E 2008 ha chiarito che i redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società di persone in caso di recesso sono da qualificare quali redditi di partecipazione, quindi della stessa natura dei redditi distribuiti ai soci nel caso di normale operatività.
La qualificazione di tali redditi, era già stata espressa anche nella Circolare 6/E del 2006, in cui l’Agenzia aveva indicato “quali "redditi da partecipazione" i redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società di persone nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale rinviando nel contempo, ai soli fini della determinazione del reddito da assoggettare a tassazione e sempre che compatibili, alle regole dettate dall'articolo 47 del Tuir…”.
I redditi di partecipazione non costituiscono un’autonoma categoria reddituale, ma assumono la natura della categoria reddituale da cui traggono origine. Nel caso di società semplici agricole, che svolgono unicamente attività ricomprese nell’articolo 32 del TUIR, i redditi sono rappresentati dai redditi fondiari (reddito agrario e reddito domenicale). Ne consegue che l’eventuale maggior valore delle somme liquidate o dei beni distribuiti in caso di recesso, rispetto ai conferimenti effettuati dal socio, rappresentino quote di reddito reinvestite nella società e la capitalizzazione del lavoro prestato dai soci stessi. Nel caso specifico si tratta di redditi già interamente tassati in capo ai soci per trasparenza, in quanto già compresi nelle tariffe d’estimo (redditi fondiari)..
In altre parole, le somme percepite dal socio che recede da una società semplice che ha svolto nel tempo attività rientranti nel reddito agrario sono anch’esse comprese nella tariffa d’estimo e non sono soggetti ad autonoma tassazione.
Pertanto, le somme ricevute a tale titolo dal socio non devono essere assoggettate ad IRPEF: tale orientamento è stato ribadito dall’Agenzia Entrate Direzione Regionale del Piemonte in risposta ad istanza di interpello n. 901-526/2017. (Vedi Circolare 50/2018)