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Un importante principio è stato espresso recentemente dal Consiglio di Stato in tema di tassa sui rifiuti nella sentenza n. 1162 del 19 febbraio 2019: l’attività agrituristica non può essere assimilata a quella alberghiera.
Il Comune, nel rispetto del principio di “chi inquina, paga”, può commisurare la tariffa in base alla quantità e qualità dei rifiuti mediamente prodotti in relazione alla tipologia delle attività svolte. Pertanto, essendo l’attività agrituristica un’attività intrinsecamente diversa da quella “commerciale” degli alberghi, è incongruo assimilare le due attività.
Quello della corretta applicazione della tassa sui rifiuti alle attività agrituristiche è un problema che è stato oggetto, negli anni, di un continuo contenzioso tra contribuenti e amministrazioni locali.
Le attività agrituristiche, ignorando i vincoli strutturali, autorizzativi e gestionali cui sono soggette, sono state equiparate nei regolamenti comunali alle attività alberghiere, quanto meno in tema di “tassa sui rifiuti”.
Si ricorda, però, che l’attività agrituristica viene configurata dal legislatore (articolo 2135 c.c., legge n. 96/2006 e leggi regionali) come attività agricola connessa e, in quanto tale, deve rispettare determinati limiti:
Inoltre, le norme regionali pongono ulteriori vincoli dal punto di vista strutturale, dando priorità (o in taluni casi esclusività) all’utilizzo di immobili già presenti al fine di incentivarne il recupero.
Secondo la tesi delle amministrazioni comunali, non essendo prevista una espressa codificazione dell’attività agrituristica ai fini del calcolo della tassa sui rifiuti, l’attività agrituristica dovrebbe essere equiparata a quella di ristoranti o alberghi, con o senza ristorante, concedendo eventualmente uno sgravio per il fatto che tali attività sono svolte stagionalmente.
Anche la giurisprudenza sembrava aver ultimamente adottato tale impostazione: La CTP di Piacenza ha avallato la tesi secondo cui, in mancanza di una specifica categoria per gli agriturismi, si applica la tariffa della categoria più affine “alberghi con/senza ristorante”.
Inoltre, l’attività agrituristica producendo rifiuti non di tipo domestico non può beneficiare delle tariffe o delle esenzioni relative alle utenze domestiche dei fabbricati urbani o rurali e, per tale attività, le tariffe devono prevedere opportune riduzioni in base al principio comunitario “chi inquina paga” (TAR Lombardia Sent. 628/2015).
Secondo i giudici di Palazzo Spada, le attività agrituristiche rappresentano una specificazione delle attività agricole alle quali restano vincolate e connesse. Inoltre, il differente inquadramento amministrativo e fiscale che il legislatore ha riconosciuto all’attività agrituristica rispetto a quella alberghiera “rispecchia una differenziazione economica e funzionale” tra le due attività che “si riflette sulla commisurazione della capacità contributiva”.
Anche la legislazione turistica (D. Lgs. n. 79/2011) dispone una diversa classificazione delle attività stabilendo che le strutture ricettive si suddividono in alberghiere, paralbeghiere e extralberghiere.
Tale norma all’art. 12, comma 1 lett. b) “strutture ricettive extralberghiere” inserisce gli alloggi nell’ambito delle attività agrituristiche, “con ciò significando la diversità tra attività alberghiera e attività agrituristica”.
Pertanto, le differenziazioni con le quali il legislatore ha voluto connotare l’attività agrituristica appaiono dirimenti al fine di non consentire l’assimilazione di tali attività a quelle alberghiere.
Il Comune, pertanto, può commisurare la tariffa in funzione della qualità e quantità di rifiuti prodotti mediamente da questa tipologia di contribuenti tenendo comunque in considerazione i principi generali di proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza, cosicché non è legittima l’assimilazione dell’attività agrituristica a quella alberghiera.