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La vendita diretta rappresenta una delle più importanti opportunità che la Legge di orientamento (D. Lgs. 228/2001) ha fornito agli operatori agricoli, attribuendo significative semplificazioni a tutti gli agricoltori che desiderano porre sul mercato, senza intermediari, i propri prodotti.
La disciplina in materia è piuttosto scarna e modellata sull’ampia varietà di casi concreti da numerosi documenti di prassi (note, risoluzioni, circolari, pareri), i quali sono essenziali al fine di indicare agli operatori le corrette condotte da tenere.
Nelle ultime settimane, il MISE ha rinverdito ed aggiornato tale prassi, con due risoluzioni che hanno fornito interessanti chiarimenti operativi per chi svolge vendita diretta di prodotti agricoli.
Con la prima risoluzione n. 380940 del 20 settembre 2017, il MISE ha analizzato il caso di un’imprenditrice che svolgeva l’attività di vendita diretta dei propri prodotti agricoli all’interno di un negozio affittato nel centro di Milano, ben lontano dalla sede aziendale. Il Comune di competenza, ritenendo tale attività come commerciale a tutti gli effetti, richiedeva alla titolare una specifica SCIA per la somministrazione di cibi e bevande, attività che secondo l’imprenditrice poteva essere svolta liberamente nell’ambito delle attività di vendita diretta, previa una mera comunicazione.
Il MISE, con la richiamata risoluzione n. 380940, ha operato una stretta analisi testuale dell’art. 4, comma 8-bis del D. Lgs. 228/2001, dove si prevede che “nell’ambito dell’esercizio della vendita diretta è consentito il consumo immediato dei prodotti oggetto di vendita, utilizzando i locali e gli arredi nella disponibilità dell’imprenditore agricolo, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni di carattere igienico-sanitario”.
In forza di tale previsione, secondo il Ministero, non è possibile operare una distinzione tra i locali situati nell’ambito dell’azienda agricola e quelli situati altrove: ciò che è importante, al fine di poter ricondurre le attività di consumo immediato di cibo e bevande all’interno della disciplina della vendita diretta, è che gli immobili siano nella materiale disponibilità dell’imprenditore agricolo. Rispettato tale parametro, non rileva l’ubicazione dell’immobile utilizzato.
Di pochi giorni fa, invece, è la risoluzione n. 59196 del 9 febbraio 2018 del MISE, avente sempre ad oggetto le attrezzature utilizzabili nell’ambito dell’attività di consumo in azienda di prodotti agricoli.
Un’azienda agricola, infatti, vendeva i propri prodotti (anche trasformati) per il consumo sul posto, che veniva svolto utilizzando bicchieri di vetro e piatti di porcellana.
L'importante nota di indirizzo ANCI del 9/9/2013, che definisce i confini delle definizioni “somministrazione assistita” e “somministrazione non assistita”, ha sempre indicato come elemento essenziale della somministrazione non assistita (l’unica che può legittimamente essere svolta dalle aziende agricole ai sensi dell’art. 4, comma 8-bis) l’utilizzo di posate e stoviglie a perdere.
Il MISE, con la risoluzione del 9 febbraio 2018, ha superato tale orientamento: secondo il Ministero, infatti, “non può escludersi l’utilizzo di posate in metallo, di bicchieri di vetro, nonché di tovaglioli di stoffa quando questi sono posti a disposizione della clientela con modalità che non implicano un’attività di somministrazione, ossia quando non si tratti di “apparecchiare” la tavola con le modalità proprie della ristorazione, ma solo di mettere bicchieri, piatti, posate e tovaglioli puliti a disposizione della clientela per un uso autonomo e diretto”.
Con le due risoluzioni in commento, quindi, il Ministero ha operato due importanti aperture in materia di vendita diretta, ampliando così le possibilità offerte agli agricoltori per approfittare di uno strumento estremamente interessante, il quale ha visto una sua ulteriore estensione nell’ultima Legge di Bilancio, ammettendo la riconducibilità delle attività di street food tra le attività agricole connesse.