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Il virus della peste suina si diffonde inesorabile in tutto il mondo: i cinghiali selvatici giocano un ruolo primario nella sua diffusione. La loro mappatura ed il loro contenimento sono armi ineludibili, altrettanto come i cacciatori, vere e proprie risorse strategiche per individuare presenze e movimenti dei selvatici. EFSA, con un gruppo dedicato di esperti, aggiorna le mappe degli animali attraverso i dati raccolti, focalizzando ancora di più la presenza di questi biungulati.
Il COVID-19 ci sta dimostrando che salute ed economia sono strettamente legate e che la biosicurezza è l’arma vincente per arginare i contagi, quando non esiste un vaccino. Il settore veterinario ha sperimentato da molti anni che il distanziamento o il divieto dei contatti tra animali o tra allevamenti sono, ad esempio, pilastri fondamentali che ci hanno permesso di vincere la battaglia di molte malattie quali la TBC umana ed animale o le diverse influenze di molti animali allevati. È per salvaguardare la salute dei maiali che insistiamo, quindi, sulla mappatura dei selvatici, cinghiali in particolare, sul contenimento delle loro colonie e sull’evitare gli avvicinamenti tra animali bradi ed allevati in azienda.
In questi ultimi mesi, il mercato dei suini è diventato problematico; il tracollo del settore per l’invasione di un virus come quello della peste sarebbe un’ulteriore, decisivo colpo per le sorti di questo comparto: va quindi tenuta altissima la guardia e vanno intensificate le misure di biosicurezza, dando peso agli avvistamenti di cinghiali e tenendo d’occhio le loro mappature sul territorio.
A fine aprile, mentre si è registrata un’ondata di ritorno della peste in Cina, l’India ha ufficialmente notificato il suo primo focolaio; più di tremila suini sono stati abbattuti, ma non è la quantità di animali che spaventa (quasi tutti allevamenti domestici per autoconsumo) ed allerta i Servizi Veterinari indiani quanto, piuttosto, la vastità geografica del focolaio. Sono stati individuati animali infetti in ben 306 villaggi di 2 Stati dell’India, il che fa riflettere sui due elementi di sospetto che giustificano la rapidità con la quale il virus si è diffuso: l’uomo (e ciò che veicola con sé) e i cinghiali selvatici, ossia due “disseminatori” certi. Sappiamo che centinaia di migliaia di indiani dalle città sono tornati alle campagne a causa del COVID-19 e quindi si ha il forte sospetto che la movimentazione umana abbia determinato anche lo spostamento dei cinghiali selvatici, attirati dai rifiuti che i migranti hanno presumibilmente lasciato sul terreno.
Nella diffusione mondiale del virus della peste suina africana è stato ampiamente documentato il ruolo dei cinghiali selvatici (parenti stretti del suino e pericolosi serbatoi virali); in Europa la propagazione della malattia da un Paese all’altro è sempre stata tracciata dalla loro presenza e dalle evidenze epidemiologiche raccolte nei focolai, nonostante le barriere fisiche (muri e recinzioni), costruite per arginare la diffusione del contagio, come è avvenuto tra Lituania e Polonia, a partire da una decina di anni fa. È indispensabile quindi che i nostri decisori politici ne tengano conto ed intervengano pesantemente sul contenimento dei cinghiali se si vuole salvaguardare il patrimonio suino del nostro Paese, fonte di reddito agrario ed industriale, ma messo in pericolo se si bloccassero i commerci interni o esteri di carne suina, per la presenza di focolai sul territorio nazionale.
La mappatura sistematica delle popolazioni di cinghiali selvatici diventa quindi uno strumento portante per indirizzare la lotta alla diffusione del virus. È per questo che per mappare la presenza dei branchi sul territorio anche gli esperti di EFSA utilizzano da tempo i dati sul controllo della proliferazione delle famiglie di biungulati, attraverso quelli di un centro di raccolta ed il coinvolgimento e la collaborazione dei cacciatori. La salvaguardia della salute pubblica e dell’economia devono avere la priorità sulle proteste che potrebbero avanzare gli animalisti, soprattutto adesso che siamo sotto la minaccia dei focolai d’oltre frontiera dell’est Europa, ove la presenza del cinghiale è una costante e la sua migrazione in aree vicine non è assolutamente da escludere.
A fianco dei Servizi Veterinari nazionali, l’OIE, l’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale di Parigi, monitora l’andamento della malattia. Anche l’EFSA, Organizzazione Europea sulla Sicurezza Alimentare, da un decennio affianca quest’organizzazione nel contribuire alla ricerca ed alla notifica dei dati e per questo ha istituito un gruppo di esperti di sanità del bestiame, dedicati al preoccupante andamento delle pesti suine. Costoro, sui dati forniti da ENETWILD, un consorzio di raccolta di informazioni sull’andamento delle pandemie animali in Europa, preparano report e fanno proposte alla Commissione Europea ed all’OIE per i loro provvedimenti di controllo della diffusione del contagio. Insieme all’Istituto Internazionale di Ricerca delle Risorse di Caccia IREC, ENETWILD ha ultimamente predisposto delle raccolte di informazioni sulla distribuzione geografica europea dei selvatici (figura 1) e l'abbondanza di cinghiali nei territori, allertando i decisori politici sul “potenziale serbatoio” di virus pestoso, rappresentato da questi soggetti. Lo scopo di questo complesso lavoro è quello di creare le mappe geografiche di distribuzione e di spostamento di questi biungulati, al fine di facilitare le azioni da intraprendere, prima fra tutte il contenimento ed il distanziamento dei selvatici dalle aree di allevamento.
Gli ultimi due report del consorzio ENETWILD hanno focalizzato ancora di più il pericolo della proliferazione dei cinghiali e richiamato l’attenzione di questi animali come veicoli del virus pestoso. Mentre il penultimo documento mostrava la situazione delle aree su scale di grandezza di 100 chilometri quadrati, l’ultimo report dello scorso gennaio ha invece pubblicato dati su quadranti più ristretti di 4 chilometri quadrati e per di più in connessione col cosiddetto “hunting bag”, (in italiano carniere di caccia), ossia il dato di cattura dei cacciatori assoldati nel progetto attraverso le municipalità (Comuni) dei singoli Paesi o le loro organizzazioni. Il raggio temporale preso in considerazione riguarda un quinquennio di cinque stagioni venatorie (2014-2018); il quinquennio può considerarsi un dato significativo e stratificato perché abbraccia un arco di tempo in grado di controllare ragionevolmente soprattutto tre diverse variabili in gioco: quelle stagionali tra un anno e l’altro, quella ambientale tra un’area geografica ed un’altra e le modalità di caccia e di stagione venatoria tra un Paese e l’altro. Lo scopo di tutto questo lavoro effettuato dagli scienziati è stato quello di tracciare movimenti e quantità delle infestazioni, per rendere efficaci le misure da prendere e modulare la biosicurezza degli allevamenti di suini da proteggere dalla peste suina africana. In Italia, le statistiche ci dicono che, a fronte di 9 milioni di suini allevati, ci sono più di 1 milione di cinghiali che vagano sul territorio. Quando sono affamati, questi animali si spostano in continuo, avanzando incessantemente da una zona ad un’altra, avvistati ormai non solo sull’Appennino ma anche in pianura e niente e nessuno sembra in grado di fermarli. A questo punto, e nonostante le probabili proteste di qualche organizzazione animalista, sulla base dei calcoli di idoneità dei terreni e di probabilità delle presenze riportate in questi due corposi report, chi ha il compito istituzionale di sorvegliare questi andamenti e di tutelare le produzioni dovrebbe trarre le opportune conclusioni e predisporre le azioni istituzionali da intraprendere. Le figure 2 e 3 mostrano chiaramente quali sono e quali saranno le aree di pericolosità della peste suina africana in Europa. È l’ora di prendere provvedimenti, senza intaccare il patrimonio di biodiversità animale, ma valutando ed attuando piani di contenimento dei selvatici, per preservare non solo l’interesse dei singoli allevatori di suini ma tutto il prodotto interno loro che il comparto offre al nostro Paese.
Figura 1. Territorio geografico considerato nello studio ENETWILD ed EFSA.
Zone verdi dati raccolti e trasmessi dai Municipi sul territorio
Zone rosa dati raccolti e trasmessi dalle associazioni di cacciatori
Zone azzurre dati raccolti e trasmessi dalle Unità Prestabilite di Caccia
Zone Grigie senza dati
Figura 2. Mappa della presumibile idoneità ad ospitare colonie di cinghiali.
Figura 3. Mappa della presumibile distribuzione di cinghiali nei prossimi anni e nei quali si sono sommate sia le dimensioni delle valutazioni su 100 che su 4 chilometri quadrati in aggiunta a quelle dei dati di avvistamento e/o di caccia (a seconda di colori rosso o blu) riportate dalle organizzazioni venatorie.