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I vaccini, le due sole armi contro queste malattie, sono in allestimento; urgono entrambi ed in tempi rapidi per arginare i problemi che hanno causato i due virus all’intera umanità.
Il mondo è sotto stress: oltre un milione di morti per COVID-19, sempre meno proteine animali a disposizione per la popolazione in crescita, al ritmo di 70-80 milioni/anno, per raggiungere i 10 miliardi da qui al 2050, come prevedono tutti gli esperti. Per questi due flagelli, due sono gli obiettivi da raggiungere presto: il vaccino contro il COVID-19 e quello contro la Peste Suina Africana. Lo conferma anche Rabobank, la banca olandese leader mondiale dei servizi bancari nella produzione agroalimentare, che, poco più di tre mesi fa, aveva scritto che il mercato delle proteine animali sarebbe stato fortemente influenzato dalle due maggiori infezioni in corso: il COVID-19 per l’uomo e la Peste Suina Africana (PSA) per la zootecnia. La prima malattia ha rallentato enormemente i traffici di prodotti, anche quelli di origine animale; la seconda ha determinato l’ulteriore rallentamento della produzione di proteine animali suine, limitando il loro mercato con l’azione diretta del virus e la conseguente creazione di barriere sanitarie negli scambi commerciali di carni o di animali vivi. La soluzione sarebbe, per entrambi, un efficace vaccino. Per il COVID-19 la ricerca sta facendo passi da gigante, mentre per la PSA, pur con grossi passi avanti, siamo ancora lontani dalla produzione sperimentale, mentre gravi problemi di diffusione della malattia suina permangono nel continente asiatico e nell’Est-Europa. Nel frattempo, in Cina e nelle aree circostanti, da tre anni persiste una vera e propria “fame” di carne suina, che, nella seconda metà di luglio, ha fatto ancora lievitare il prezzo del 5%, avvicinandosi ai 10 dollari al chilogrammo. In questo contesto mondiale, la FAO continua a stimare in crescita la domanda mondiale di proteine animali, trend confermato dai maggiori esperti e dagli operatori del settore. Dunque, mentre la richiesta proteica spinge i Paesi che possono a produrre sempre di più, in realtà, i grandi produttori mondiali, come Cina ed altri Paesi asiatici, sono in regresso a causa della peste nei suini e dell’aviare nel pollame, per citare due malattie tra le più conosciute e fortemente incidenti sul problema della penuria alimentare in quell’area. È una situazione preoccupante perché, in quel Paese asiatico o in India, l’elevata crescita della popolazione da qui al 2050 spinge il popolo a “reclamare” un benessere alimentare (leggasi “proteine nobili come quelle animali”) simile a quello europeo o americano, continenti ad elevato reddito e ad elevata fornitura di cibo. L’esempio cinese è, come sempre, emblematico. Il presidente Xi Jinping ha avuto il merito di strappare 700 milioni di persone dalla povertà assoluta e portarli ad un dignitoso regime civile, ma costoro adesso chiedono un livello di benessere, anche alimentare, che almeno assomigli a quello europeo o della media americani! Purtroppo però la crisi di fornitura di carne si fa sentire laggiù. Pertanto, mentre permarrà a lungo l’attuale domanda proteica, il suo mercato non è in grado, al momento, di fornire una risposta adeguata: le barriere sanitarie per la peste suina ed aviaria, a cui si è aggiunto il recente allarme su una nuova influenza suina, bloccano gli scambi interni, mentre i blocchi sanitari preludono ad un lungo periodo di “carestia proteica”. In questo contesto anche l’Italia, come altri Paesi europei stanno già facendo, però, può giocare un ruolo importante su tre piani. Quello sanitario, mantenendo lo status di Paese libero dalla peste, attraverso una rigida osservazione delle misure di biosicurezza che proteggano il nostro comparto dalla malattia oltreconfine. Quello di mercato, adeguando la nostra produzione agli scambi internazionali in termini di qualità e di tipologie di prodotto richieste da questi Paesi. Quello diplomatico, agendo sui rapporti politici tra il nostro e quei Paesi, per favorire gli scambi.
Come più volte ripetuto, si registra da tempo un aumento costante nella domanda mondiale di proteine animali (http://faostat3.fao.org), in particolare di carne di pollame e suina, come mostra la figura 1; come si vede, gli andamenti sono in crescita nel mondo, ma lo sono molto di più nei Paesi in rapida crescita ed in via di sviluppo (linea verde). La produzione mondiale di carne ed il consumo sono più che quadruplicati negli ultimi 60 anni e, dal 2000 ad oggi, sono passati dai 233 milioni di tonnellate ai 300; nello stesso periodo, sempre secondo dati FAO, il consumo di latte (altra proteina animale) a livello internazionale è passato da 568 a 700 milioni di tonnellate, mentre il consumo di uova (anch’esse proteine animali) è cresciuto del 30%. Tutto questo fermento avviene con un trend che, come si è detto, rimarrà sicuramente invariato fino al 2050. Il caso della Cina e dei confinanti Paesi asiatici, India inclusa, è esemplare: quest’area, con la crescita costante degli ultimi decenni, si avvicina ai tre miliardi persone. In questi paesi è in aumento la richiesta di cibo ed in particolare di proteine nobili come quelle citate dal rapporto FAO. Nel 2018, il virus pestoso è comparso massicciamente nel Nord-Est della Cina, ha scavalcato poi i confini dei Paesi direttamente a contatto e pochi mesi fa si è manifestato anche in India; partita l’epidemia da scambi clandestini di carni ed animali sul confine cino-sovietico, viene tuttora costantemente alimentata da piccoli focolai di allevamento familiare, che a loro volta hanno alimentato quelli degli allevamenti più grandi. Il conto dei maiali morti solo in Cina supera i 100 milioni di capi, un quinto della popolazione suina ed un decimo dei suini allevati in tutto il mondo. La perdita stimata per questo comparto nel 2019 dal Dr. Defa Li, professore dell’Accademia Cinese di Ingegneria, registra la cifra di ben 140 miliardi di dollari o un trilione di Renminbi! Di conseguenza, come riportano diversi media internazionali di economia agraria, il prezzo della carne suina del Paese è sensibilmente aumentato, privando soprattutto gli strati più bassi della popolazione del loro principale supporto proteico. Sulla stessa scia, negli ultimi decenni, sempre in Cina, si è registrato un aumento del consumo pro capite di carne, soprattutto suina ed avicola, passata da 11 a 39,5 kilogrammi pro capite (fonte dati cinesi da https://www.sohu.comhttps://www.sohu.com/a/340281125_100020683) e, nonostante il prezzo, il suo trend rimane in continua crescita. Si può quindi affermare che in quel Paese, ma anche in quelli limitrofi, esiste una vera e propria “caccia proteica asiatica”, ben sapendo che laggiù si è perso, in tutta l’area ove s’è velocemente propagata la peste, quasi il 20% della produzione suina mondiale negli ultimi 3 anni! Sempre in Cina però non si vedono strategie di lotta sanitaria a tutto campo come nelle restanti aree mondiali dell’0ccidente. Dal 2018, il Governo ha iniziato subito la sua battaglia al virus, imponendo “militarmente” severe misure di biosicurezza, vietando il più possibile il commercio di suini e carne di provenienza sconosciuta, di mangimi a base proteica animale e scoraggiando la movimentazione degli addetti da un allevamento all’altro, ma ha tralasciato alcune misure fondamentali, come ad esempio la lotta ai selvatici (cinghiali soprattutto), le sistematiche disinfezioni dei veicoli commerciali e molte misure pratiche di igiene o di sanità epidemiologica d’allevamento. Una di queste merita un particolare accenno, perché molto discutibile: poco descritta nelle riviste internazionali di settore, viene definita “Pulling the Tooth” (Estraggo solo il dente malato) e consiste nell’eliminare i soli soggetti infetti in azienda. In pratica, secondo un report di una rivista tecnica online (https://thepigsite.com/articles/direct-from-china-a-look-at-asf-biosecurity-changes-testing-and-vaccine-development ), pare che i Governanti cinesi, consapevoli del grande divario tra domanda ed offerta di carni suine sul mercato, abbiano applicato la diagnosi sierologica, conosciuta come QPCR, allevamento per allevamento e stalla per stalla, testando gli animali ed eliminando però solo i capi positivi. Il metodo, tecnicamente discutibile, tenta di arginare il problema in attesa che il vaccino, allo studio nei loro laboratori ed in alcuni prestigiosi istituti mondiali, venga lanciato sul mercato ed utilizzato su scala globale. Evidentemente la necessità impellente di procurare proteine alimentari nobili ha spinto i governanti ad applicare una misura “minore”, mettendo il sale sulla coda però, unico dato favorevole, ai laboratori e dando un colpo di acceleratore alla ricerca di un vaccino efficace. Questa metodica “Pulling the Tooth” non è condivisa dalle organizzazioni sanitarie mondiali, dalla legislazione Europea ed in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale OIE di Parigi, che suggerisce invece il cosiddetto stamping-out, che in pratica significa tabula rasa dell’intero allevamento colpito dal virus e di quelli circostanti della cosiddetta zona infetta, come conosciamo da tempo anche noi italiani. Le figure 2, 3 e 4 mostrano le mappe adottate dalla Repubblica Ceca, che ha dimostrato di aver sconfitto recentemente la PSA proprio con la zonizzazione delle aree interessate, con rigidi protocolli sanitari, un piano di vigilanza, di sorveglianza e di biosicurezza meticoloso, un’estenuante ma efficace lotta ai cinghiali (recinzioni per evitare le fughe e riduzione drastiche della loro presenza) e con misure di igiene e disinfezione per tutti coloro che frequentavano le zone interessate dalla presenza del virus pestoso (fonte OIE Panorama Bulletin, https://oiebulletin.com/index.php?panorama=04-2-1-2020-1-czech&edition=12827&pdf=panorama&article=13949). Peraltro, la lotta al virus è una lunga lotta: lo dimostra il caso Polonia che, dopo un breve periodo di relativa calma, ha ripreso a disinfettare tutti i veicoli provenienti dalle aree baltiche (figura 5), dove permane la presenza del virus perché si sono riaccesi alcuni focolai lungo la via di percorrenza Nord-Sud Ovest del Paese.
I cinesi stanno lavorando alacremente ai vaccini delle due grandi malattie citate all’inizio: quelli del COVID-19 e della PSA. Nei loro laboratori, o in team con ricercatori stranieri, ferve il lavoro scientifico, al punto che i giornali riportano persino di strane intromissioni di “spie” scientifiche pur di raggiungere il risultato finale. Sul COVID-19 hanno sguinzagliato i loro migliori ricercatori. Per la peste, secondo un articolo pubblicato sulla rivista Cell Research - Nature del novembre scorso, un team della Peking University Joint Center for Life Science di Pechino (Chinese Tsinghua University) annuncia significativi risultati di assemblaggio di un virus destinato alla produzione di vaccino contro la PSA. I dettagli strutturali del virus riportati nella pubblicazione ci dicono che la stabilità del virus sperimentale modificato, ottenuto nei loro laboratori, lascia ben sperare. Se ciò avvenisse, come il team dichiara nella pubblicazione, con questo vaccino, in pochi anni, la Cina sarebbe in grado di sconfiggere la PSA e rimontare, con la velocità tipica dei Paesi orientali ed attirando anche capitali dall’imprenditoria mondiale, i 100 milioni di suini persi, tornando velocemente agli abituali 500 milioni allevati prima. Anche nel resto del mondo però i ricercatori stanno lavorando alacremente. Il prestigioso laboratorio europeo di Pirbright, in Inghilterra, sta ultimando una ricerca sul vaccino pestoso, con buone speranze, dicono gli esperti. È di poche settimane fa la notizia che questo team inglese avrebbe “messo a punto un virus non nocivo (il virus vettore) utilizzabile per veicolare otto geni, strategicamente selezionati dal genoma del virus della peste, da inviare nelle cellule suine; gli otto geni, una volta all’interno della cellula vivente, producono proteine virali in grado di “primeggiare” sulle cellule immunitarie del maiale per rispondere ad un’infezione da PSA”. Al momento, tutti i suini che sono stati immunizzati con questo vaccino “vivo” hanno superato brillantemente la malattia pestosa, pur mostrando leggeri sintomi della malattia classica: praticamente un’infezione asintomatica, per spiegarla con un vocabolo ahimè noto in questo periodo. Chris Netherton, capo del gruppo di vaccinologi dell’Istituto inglese, dichiara di essere “molto soddisfatto da questo risultato, anche perché quest’ultimo vaccino permette di differenziare gli animali infetti da quelli vaccinati”.
Due grandi malattie epidemiche si sono abbattute sul pianeta in questi ultimi tempi: il COVID-19 sugli esseri umani e la Peste Suina Africana sul settore suino. La prima registra un dato mortale che si avvia a raggiungere il milione di persone a meno di un anno di pandemia, la seconda ha fatto scomparire dai soli allevamenti asiatici 150 milioni di suini in poco più di tre anni. Per entrambi il rimedio è uno solo: la scoperta, il più rapida possibile, di un vaccino specifico per ognuna, al fine di arginare le perdite. Mentre per l’allestimento del vaccino contro il COVID-19 si parla di mesi, per la peste si va ben oltre. Entrambi sono indispensabili ed urgenti; per l’una al fine di salvare l’umanità da perdite umane spaventose, per l’altra cercando di arginare la mancanza di cibo e di proteine nobili per le popolazioni in crescita. Da qui al 2050 la popolazione mondiale, destinata a crescere di un quarto, reclamerà quantità di cibo ancora maggiori e con una qualità sufficiente a colmare il divario di benessere alimentare tra diverse aree del pianeta. Per questi motivi vanno incoraggiate le ricerche scientifiche sui due vaccini, che proteggono noi uomini dai virus come il COVID-19 e gli animali allevati da gravi malattie, come la PSA sta mostrando nell’area asiatica e non solo, considerata la sua recente, rapida espansione. Dopo aver perso il 15% del patrimonio suino mondiale a causa di questa epidemia pestosa, si chiede ai ricercatori una rapida sperimentazione per un vaccino efficace ed un ritorno almeno ai numeri precedenti in tempi brevi, per dare una mano alle altre specie animali a far fronte alla domanda crescente (si stima il 20% in più da qui al 2050) di proteine animali, che rappresentano il fabbisogno dei prossimi 30 anni per un paio di miliardi in più di popolazione mondiale.
Fig. 1. Evoluzione del consumo individuale di proteine (grammi al giorno). (Fonte: Author’s analysis based on food balance and population data obtained from http://faostat3.fao.org.).
Figura 2. Repubblica Ceca, zonizzazione delle aree infette e di quelle a forte rischio. Area infetta (rossa); area di “protezione” e di caccia intensa (verde); area di riduzione della presenza di biungulati selvatici (gialla).
Figura 3. Repubblica Ceca, misure di disinfezione prima di accedere alle zone.
Figura 4. Repubblica Ceca, prelievo e distruzione di carcasse di cinghiali infetti.
Figura 5. Polonia, pratiche disinfezioni su strade comunali o provinciali per tentare di frenare la pressione del virus in entrata dai paesi baltici attraverso veicoli e persone.