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“La bellezza di un circolo è che non ha inizio e non ha fine. Se un sistema è in grado di rigenerarsi, allora può garantire una legge fondamentale per la nostra esistenza: la generazione successiva potrà avere almeno lo stesso tenore di vita di quella precedente”
Jean-Paul Fitoussi
Nell’ambito del Macfrut 2021 di Rimini, ConsulenzaAgricola.it ha presentato alcuni approfondimenti a carattere seminariale su temi di significativo interesse per il futuro delle imprese agrozootecniche ed agroalimentari. I contributi saranno illustrati nella giornata del 9 settembre 2021 presso gli spazi della Fiera e riguarderanno principalmente:
In questo primo approfondimento si descrivono gli elementi “chiave” della relazione in materia di economia circolare.
Il modello di economia circolare è la risposta pro-attiva alla crisi del sistema economico lineare, spesso inefficiente e costoso, che si affida esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse (ormai molto poche e utilizzate in modo non sostenibile), per soddisfare i bisogni dei consumatori (molti, in forte crescita e con esigenze di consumo elevate).
Basti pensare che nella sola Unione Europea ogni cittadino genera una media di oltre 4,5 tonnellate di rifiuti l’anno, di cui quasi la metà è smaltita nelle discariche.
È evidente però che per promuovere la transizione da un modello lineare ad uno circolare occorrono politiche ambiziose, supportate da un quadro legislativo chiaro in grado di dare i giusti segnali agli investitori. Persistono, tuttavia, delle barriere politiche, sociali ed economiche che impediscono l’attuazione delle migliori pratiche:
Secondo un’analisi della Commissione Europea, misure come una migliore progettazione ecocompatibile, la prevenzione e il riutilizzo dei rifiuti possono generare, in tutta l’UE, risparmi netti per le imprese fino a 604 miliardi di euro, ovvero l’8% del fatturato annuo, riducendo al tempo stesso le emissioni totali annue di gas a effetto serra del 2-4 %.
In generale, attuare misure aggiuntive per aumentare la produttività delle risorse del 30% entro il 2030 potrebbe far salire il PIL quasi dell’1% e “creare” oltre 2 milioni di posti di lavoro rispetto a uno scenario economico “lineare”.
È alla luce di questo interessante potenziale che è necessario individuare alcune azioni concrete per disegnare una “mappa” strategica che supporti la transizione verso un modello circolare del sistema economico attuale; quali:
Questi fattori non agiscono spontaneamente né tanto meno sono sufficienti, per questo è necessario il contributo delle politiche per disinnescare le forze centrifughe che si oppongono alla circolarità.
Economia circolare in pratica significa introdurre nuovi modelli di sviluppo in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse possa essere mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti venga ridotta al minimo (figura 1).
L’anello “debole” della filiera è sicuramente il momento della produzione dei rifiuti, che nel passato non hanno avuto una considerazione strategica nel modello di sviluppo, ritenuti un problema minore. Ad oggi, invece, la presenza dei rifiuti comporta una serie di conseguenze non sostenibili per il futuro:
Dal X Rapporto Greenitaly della Fondazione Symbola e di Unioncamere risulta che negli ultimi cinque anni più di 430.000 imprese, per superare la crisi, hanno investito nella green economy. Nel solo 2019 record di investimenti con un +21% rispetto all’anno precedente. L'occupazione «verde» nel 2018 è cresciuta di oltre 100.000 unità, superando i 3 milioni di occupati, il 13,5% della forza lavoro. L'Italia prima in Europa per il riciclo dei rifiuti: il 79% del totale (la maggior parte si tratta di riciclo da rifiuti industriali). |
Figura 1 - Il passaggio da una economia lineare a circolare
Ma quanto le aziende sono consapevoli delle opportunità dell'economia circolare?
Dalle ricerche effettuate dall'Istituto di Management della Sant'Anna di Pisa, presentate a Milano alla X edizione sull'economia circolare, emerge che l'impegno delle aziende italiane è “a macchia di leopardo” e si concentra soprattutto in alcuni specifici ambiti di attività aziendale e della catena del valore.
Si tratta di aziende che provengono maggiormente dal settore chimico, seguono aziende dei settori della tecnologia e dei servizi. Le meno virtuose appartengono al settore bancario.
Si indicano alcuni “comportamenti” degli imprenditori e dei risultati conseguiti:
Interessante notare come tutte le aziende considerino come principale strategia delle azioni per la circolarità la riduzione dei costi.
Tra i fattori “esterni”, invece, si trova il miglioramento della soddisfazione dei clienti e dell'immagine aziendale, indicativo di una crescente consapevolezza del consumatore sull'economia circolare e la tutela ambientale.
Al contrario, secondo la fonte dati CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), se si guarda alle “barriere” più significative che stanno impedendo ancora all'economia circolare di svilupparsi, per oltre il 60% delle aziende ci sono la mancanza di adeguati incentivi e gli elevati costi di investimento.
Le aziende sono quindi condizionate dal timore di cambiare processi di approvvigionamento, produzione, distribuzione, percependo gli investimenti come importanti e di difficile ritorno nel “breve” periodo.
Naturalmente il passaggio da un modello lineare a uno circolare non è semplice e facilmente applicabile e, soprattutto, richiede una profonda discontinuità culturale. Non può essere nemmeno inteso come una “moda”. È un nuovo modo di vivere il pianeta e le sue ricchezze, consapevoli che non sono infinite. |
Un processo in evidente contrasto con il tradizionale modello economico lineare, fondato invece sul tipico schema estrarre-produrre-utilizzare-gettare, che nella sintesi si può estremizzare in “usa e getta”. Alcune aziende hanno già vinto la loro sfida di uscire da questo schema.
Sempre la ricerca del Sant'Anna di Pisa pone in evidenza una “banca dati” di oltre duecento idee e progetti “best practice” che hanno alimentato la circolarità sul territorio nazionale.
Nello specifico, la riduzione degli impatti ambientali si deve riscontrare non solo nella fase di produzione e di approvvigionamento delle materie prime utilizzate per la produzione e la destinazione finale inserendo “packaging” e trasporto, ma anche nelle fasi “a valle” dopo la consegna del prodotto al cliente finale e di “fine vita” del prodotto stesso.
Quando si parla di economia circolare, si intende un modello economico incentrato sulla progettazione e produzione di prodotti, componenti e materiali che possono essere riutilizzati, rigenerati, e riciclati.
I principi guida dell’economia circolare possono sembrare a molti un semplice esercizio teorico svolto da chi nutre la speranza di costruire un “mondo migliore”, ma impossibile da realizzare tramite progetti concreti.
Questo dubbio legittimo è fortunatamente smentito dalla realtà.
Ci sono ormai infatti centinaia di casi che dimostrano come, non solo start-up e centri di ricerca stiano ottenendo risultati industrializzabili di progetti di economia circolare, ma anche aziende di settori merceologi diversi, supportate dalla ricerca, stiano trasformando i propri scarti di produzione in nuovi prodotti, ottenendo così importanti benefici economici oltre che ambientali.
Sono quasi duecento le storie virtuose di economia circolare mappate in Italia nell’ultimo anno.
A fotografare la situazione è stato ECODOM (il principale consorzio di gestione dei RAEE - rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) e CDCA (il primo Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali) che hanno raccolto le esperienze concrete di economia circolare nell’Atlante Italiano di Economia Circolare, suddividendole in diciotto categorie merceologiche, tra cui agricoltura, cosmetica, edilizia, arredamento, elettronica, sharing, imballaggi.
Agroalimentare e tessile sono i settori che registrano le migliori performance, contando rispettivamente il 16,3% e il 14,3% delle esperienze, seguite dal riciclo di materie prime seconde e dalla raccolta e gestione dei rifiuti (10,2%). Buoni risultati si registrano anche per il settore edile con il 9% e per l’arredamento (7%).
L’agroalimentare rappresenta l’espressione più naturale di economia circolare: foodsharing contro lo spreco alimentare, filiere agroalimentari circolari, cibo recuperato, tutela del “km zero” sono solo alcuni esempi.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, il maggior numero di esperienze di circolarità si registra in Lombardia (20,6%), seguita da Lazio (17%), Toscana (12%), Emilia Romagna (8%) e Veneto (5,3%).
La città più virtuosa - con ventisette esperienze - è Roma, poi Milano con venticinque, Bologna e Firenze a pari merito con otto. Questi dati rappresentano un’ulteriore conferma del ruolo sempre più centrale che riveste l’economia circolare nel nostro Paese: l’Italia in Europa è in testa alle classifiche, seguita da Regno Unito, Germania e Francia.
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