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Il 14 luglio 2021 l’Europa ha lanciato la sua “Rivoluzione verde”. Infatti, La Commissione Europea ha presentato “Fit for 55”, un vero e proprio pacchetto di misure innovative, quasi ardite, finalizzate a ridurre, entro il 2030, le emissioni nette di CO2 ben del 55% rispetto ai livelli del 1990 e a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
L’obiettivo del Green Deal europeo, di cui “Fit for 55” ne è uno dei pacchetti principali, è quello di rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero, delimitando una strategia di crescita sostenibile e inclusiva per stimolare l’economia, migliorare la salute dell’uomo e dell’ambiente, migliorare la qualità e il tenore di vita dei cittadini europei senza lasciare, però, indietro nessuno.
Per raggiungere obiettivi così importanti ed ambiziosi la Commissione ha sottolineato a più riprese, la necessità di dover realizzare una transizione ecologica circolare di successo, nella quale è inevitabile un ripensamento anche dell’intero sistema alimentare che a tutt’oggi produce quasi un terzo delle emissioni globali di gas serra. A fronte di questa evidenza la stessa Commissione Europea, nel maggio del 2020, ha lanciato la strategia Farm to Fork, anche questa parte integrante del Green Deal europeo. La strategia Farm to Fork il cui ambito di lavoro è l’Europa della prossima decade, mira a una transizione verso un sistema alimentare sostenibile e quindi anche equo, sano e rispettoso dell’ambiente. Per rendere concreto tutto ciò la Commissione ha fissato obiettivi ambiziosi, tra i quali la riduzione del 50% dalla dipendenza da pesticidi e antimicrobici, la riduzione dell’impiego dei fertilizzanti utilizzati in eccesso, ma anche l’aumento delle superfici agricole coltivate in modo biologico, il miglioramento del benessere degli animali, l’inversione della perdita di biodiversità e la lotta alle perdite e agli sprechi.
In base a quanto dichiarato, risulta piuttosto chiaro che la transizione non potrà avvenire senza un cambiamento nei regimi alimentari degli europei, è bene però sottolineare che a tutt’oggi nell'UE vi sono ben 33 milioni di persone[1] che non solo non possono far scelte su cosa mangiare, ma addirittura sono solo in grado di consumare un pasto di qualità un giorno sì ed uno no, dovendo quindi ricorrere all'assistenza alimentare di enti e associazioni caritatevoli e questo accade in tutti gli Stati membri. La sfida dell'insicurezza dell'approvvigionamento alimentare e dell'accessibilità economica degli alimenti è andata incontro, inoltre, ad un inasprimento durante questi due anni di pandemia e quindi risulta ancor più essenziale agire per modificare i modelli di consumo contenendo anche perdite e sprechi alimentari. Sebbene tra il 20% e il 30% degli alimenti prodotti venga perso e sprecato lungo il percorso che fa dal campo alla tavola[2], e come detto 33 milioni di europei non riesco a mettere sulla tavola un pasto completo tutti i giorni, dall’altro lato abbiamo anche l'obesità che è in forte aumento. Oltre la metà della popolazione adulta è attualmente in sovrappeso[3], il che contribuisce ad un'elevata insorgenza di patologie legate ad una cattiva ed eccessiva alimentazione (tra cui vari tipi di cancro) con i relativi costi sanitari che ne conseguono. Complessivamente, la popolazione europea adotta regimi alimentari non in linea con le raccomandazioni nutrizionali del proprio Paese e non congrui con il proprio ambiente alimentare[4], in quanto la dieta più sana non è sempre quella più facilmente fruibile ed accessibile per tutti. A fronte di ciò è possibile affermare che se i regimi alimentari europei fossero conformi alle raccomandazioni nutrizionali, l'impronta ambientale dei nostri sistemi alimentari sarebbe notevolmente ridotta e darebbe di per sé un contributo fondamentale al raggiungimento degli obiettivi del Green Deal. La cosa più interessante su cui soffermarci un attimo è una considerazione piuttosto semplice. Se tutti adottassimo una dieta più sana, maggiormente attinente alla tradizione culturale del proprio Paese, non solo produrremmo vantaggi tangibili alla nostra salute ma, da quanto appena accennato, anche e quella dell’ambiente in cui viviamo.
Ma l’adozione, da parte di tutti noi, di una dieta sana e sostenibile deve correre, secondo la Commissione, parallelamente alla lotta contro le perdite e gli sprechi alimentari lungo l’intera filiera, dal campo fino ad arrivare alla tavola. Prevenire e ridurre perdite e sprechi alimentari ha due effetti positivi. Da un lato può comportare risparmi sia per i consumatori sia per le imprese. Dall’altro, se si attiva il recupero e la redistribuzione di quelle frazioni di sprechi che non possono essere prevenute, si viene a generare un circolo virtuoso a vantaggio soprattutto delle fasce deboli della popolazione, dando una risposta alle esigenze di una parte di quei 33 milioni di europei che non riescono a consumare un pasto sano tutti i giorni. Le ricadute, quindi, non sarebbero solo ambientali ed economiche ma anche sociali e sanitarie. Ciò si ricollega inoltre a strategie alternative di riduzione dello spreco non tanto attraverso il recupero del prodotto in sé, ma attraverso il recupero dei nutrienti e delle materie prime secondarie (ad esempio delle vitamine, fibre o altri componenti simili), ma anche alla produzione di mangimi o dai vegetali, ma anche dai prodotti confezionati[5] e all’utilizzo di ciò che non può essere recuperato in altro modo per la produzione di energie rinnovabili, attraverso la biodigestione o la termovalorizzazione.
Con la strategia Farm to Fork, la Commissione si è impegnata a ridurre del 50% lo spreco alimentare pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori entro il 2030 (traguardo 3 dell'Obiettivo dello Sviluppo Sostenibile numero 12 dell’UNDP). È deludente, però, notare come tale obiettivo non tenga in considerazione gli sprechi che si verificano nelle prime fasi della filiera, in agricoltura e nella trasformazione. È bene ricordare che quando frutta e verdura, ad esempio, non rispettano gli standard qualitativi richiesti dalla grande distribuzione (quindi quando i prodotti non presentano caratteristiche di omogeneità per colore e dimensione ad esempio, frutta di pezzatura troppo grossa o piccola, oppure con deformazioni) non vengono accettate e quindi non solo non arrivano sui banchi di vendita ma, non di rado, importanti quantitativi di questi prodotti agricoli non vengono neppure raccolti e rimangono a marcire nei campi. Ma questa frutta e verdura, da parte dell’UE, non viene considerata come spreco alimentare e quindi viene non solo esclusa dai criteri di misurazione, ma ciò che è ancor più grave, è che non viene neanche presa in considerazione quando si studiano quelle azoni atte a prevenire o ridurre il fenomeno dello spreco alimentare.
La Commissione ha programmato prima, e implementato poi, una nuova metodologia per la misurazione dei rifiuti alimentari e, sulla base dei dati che gli Stati membri trasmetteranno nel 2022, la stessa Commissione definirà alcuni scenari per definire obiettivi giuridicamente vincolanti per ogni membro per ridurre gli sprechi alimentari in tutta l'UE. È necessario però risottolineare come il problema degli sprechi alimentari esige un approccio più olistico, dal campo fino alla tavola e che quindi è fondamentale non mettere in secondo piano nessun comparto della filiera e nessuna tipologia di perdita o spreco, in primis il comparto agricolo.
Positivo, comunque, il fatto che nella strategia “Farm to Fork” la Commissione si sia impegnata di occuparsi di sprechi e perdite alimentari in molte delle politiche da lei gestite e quindi verranno presi provvedimenti e decisioni in merito non solo nelle politiche agricole e alimentari, ma anche in quelle ambientali e sociali per esempio. Inoltre, partendo dalle indicazioni emerse dalle ricerche condotte dalla stessa Commissione sui consumatori, verranno riesaminate alcune delle norme alimentari dell’UE, come quella delle “date di consumo”. Infatti, l'interpretazione errata e l'uso improprio dell'indicazione delle date (le date indicate con le diciture “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro”) causano consistenti quantità di sprechi alimentari, sia a livello della distribuzione che della ristorazione ed anche a livello domestico. Sicuramente, per ottenere risultati concreti e duraturi, la Commissione dovrà svolgere un importante ruolo di coordinamento tra tutte le azioni implementate a livello di UE e quelle intraprese a livello nazionale, per evitare duplicazioni, sovrapposizioni ma anche e soprattutto azioni contrastanti tra loro. Siamo infine convinti che le raccomandazioni della piattaforma dell'UE sulle perdite e gli sprechi alimentari[6] contribuirà a mostrare la via da seguire a tutti gli attori coinvolti, in primis i consumatori finali.
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[1] Storicamente riconosciuta al tributo di registro dopo la sostanziale evoluzione da tassa a imposta.
[2] Per la Cassazione però la disposizione non contiene una disposizione antielusiva strictu sensu, come quella del D.P.R. n. 600 /1973, art. 37-bis, bensì una regola interpretativa (Cassazione: n. 3562 del 10 febbraio 2017).
[1] Eurostat, EU SILC (2018), https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=ilc_mdes03&lang=en.
[2] EU FUSIONS (2016). Estimates of European food waste levels (Stime dei livelli europei di sprechi alimentari).
[3] EUROSTAT, Obesity rate by body mass index (Tasso di obesità per indice di massa corporea), https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/sdg_02_10/default/table?lang=en.
[4] Per "ambiente alimentare" si intende il contesto fisico, economico, politico e socioculturale in cui i consumatori interagiscono con il sistema alimentare per prendere decisioni in merito all'acquisto, alla preparazione e al consumo di alimenti [gruppo di esperti ad alto livello in materia di sicurezza alimentare e nutrizione (2017), Nutrition and food systems (Nutrizione e sistemi alimentari)].
[5] In merito a ciò si veda, ad esempio, l’attività di DALMA mangimi (https://dalmamangimi.com/) il cui obiettivo è quello di valorizzare l’apporto nutrizionale di ex-alimenti (prodotti da forno e dolciari) impiegandoli come ingredienti nei mangimi. Per fare ciò DALMA mangimi ha «inventato» un processo industriale che prima non esisteva, tale da poter rispondere agli elevati standard richiesti sia da fornitori che dai clienti. La straordinarietà di una semplice idea, il riutilizzo, supportata però dalla massima attenzione a qualità e sicurezza alimentare, sono queste le chiavi della sostenibilità di DALMA.
[6] https://ec.europa.eu/food/safety/food-waste/eu-actions-against-food-waste/eu-platform-food-losses-and-food-waste_it