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Quante volte capita, nel corso della giornata e da diverse fonti, di leggere o ascoltare la parola dieta? Credo proprio moltissime, tuttavia la maggior parte delle volte è associata a concetti e contesti non proprio corretti.
Dal punto di vista etimologico, la parola dieta deriva dal greco “δίαιτα” e significa stile di vita e, quindi, è un termine il cui contenuto va ben oltre al cibo e quanto ne consumiamo. Di conseguenza, a pensarci bene, è proprio (o forse dovremmo dire “dovrebbe essere proprio”) il nostro stile di vita che condiziona la quantità di cibo che noi assumiamo. La dieta odierna (intesa nel senso proprio, cioè “stile di vita”), è caratterizzata da vari tipi di sprechi che si manifestano il più delle volte in maniera subdola, ambigua, poiché essi riguardano diversi aspetti della quotidianità. Tra i vari tipi di sprechi non possiamo non annoverare anche quelli legati al cibo, ma, in questo breve articolo, tratteremo un diverso tipo di spreco alimentare; non quello che solitamente viene trattato, ma quello, o forse dovremo dire quelli, che sono più nascosti e cioè lo spreco calorico legato all’eccesso di alimentazione e lo spreco di nutrienti.
Come la letteratura scientifica ci mette in evidenza, definire lo spreco alimentare non è affatto semplice, in quanto è un fenomeno che presenta numerose sfaccettature. Solitamente viene considerato spreco alimentare quella quantità di cibo che non arriva al consumatore finale o che, pur arrivando, non viene consumata e quindi finisce nel bidone della spazzatura. Però quando si parla di sprechi è necessario considerare anche tutto quel cibo che consumiamo in eccesso, cioè quella quantità di cibo o di calorie che ingeriamo in più rispetto a quello che è il nostro fabbisogno giornaliero che ci permetterebbe di vivere in modo sano e sufficiente, il cosiddetto spreco calorico. È necessario sottolineare, inoltre, come l’assunzione di cibo in eccesso, oltre che comportare uno spreco, se fatto in modo continuativo e ripetuto, può portare a problemi di salute, come quelli del sovrappeso e dell’obesità.
Ma prima di approfondire e capire meglio il legame che intercorre tra eccesso di alimentazione e spreco, ci soffermiamo su un’altra forma di spreco alimentare piuttosto sottovalutata, il “nutrient loss”, ovvero la perdita di nutrienti. Per comprendere meglio di cosa si tratta riporto subito alcuni esempi. Globalmente l’attività di produzione agricola produce il 22% in più di vitamina A rispetto a quelle che sono le esigenze umane, ma a seguito degli sprechi, meno dell’11% è disponibile per il consumo umano. Per quanto riguarda il ferro, le verdure ne contengono sette volte la quantità necessaria per il consumo umano globale, ma solo poco più del doppio del fabbisogno è effettivamente disponibile[1]. In uno studio condotto nel 2009 riguardo le perdite di vitamina A, si è scoperto che molta di questa viene persa in quasi tutti gli anelli della filiera ma, in particolar modo, in agricoltura e a livello di consumatore finale. Nella fase di trasformazione, invece, le perdite sono molto limitate. Prevenire la perdita e lo spreco di micronutrienti come la vitamina A o la C, lo zinco, il ferro è una questione fondamentale poiché questi forniscono al nostro corpo le energie per mantenere una vita sana e in salute. Tale problematica, pur essendo al centro dell’attenzione anche nei Paesi sviluppati, risulta essere cruciale soprattutto per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. In uno studio della FAO, infatti, emerge come una gestione corretta della filiera agroalimentare del Camerun potrebbe prevenire la mancanza di vitamina C nell’83% dei bambini camerunensi1. Alcuni studi svolti a riguardo hanno definito un paio di scenari in merito alla possibile evoluzione degli sprechi dei nutrienti legati agli sprechi alimentari. Nel primo si è ipotizzato un aumento, al 2030, degli sprechi, anno in cui si potrebbe arrivare a circa 1,8 miliardi di tonnellate di cibo gettato. In uno scenario del genere, circa un quarto delle calorie e delle proteine non sarebbero più disponibili per i consumatori, insieme al 18% delle vitamine e al 41% dei minerali. Le perdite sarebbero più alte nei Paesi sviluppati nonostante l’efficienza tecnologica dell’intera filiera.
Nel secondo scenario si è ipotizzata una contrazione degli sprechi, la riduzione delle perdite di frutta e di verdura contribuirebbero ad un aumento del 61% della vitamina A, mentre i cereali contribuirebbero ad un aumento del 52% del calcio, del 67% del ferro e dell’83% dello zinco. Tutti i Paesi ne beneficerebbero indifferentemente1.
Fermo restando il fatto che l’obiettivo primario dovrebbe essere quello di perseguire il secondo scenario, anche per ridurre la pressione sull’ambiente, quello di garantire un sano e sufficiente regime alimentare a tutti deve rimanere un imperativo; purtroppo, attualmente circa 3 miliardi di persone soffrono del problema della malnutrizione. Nel contesto globale attuale però, occorre aggiornare il concetto di malnutrizione. Se finora nell’immaginario collettivo la malnutrizione richiamava alla mente individui sottopeso, con facili riferimenti ai Paesi in via di sviluppo, oggi questa definizione va ampliata. Occorre infatti associare il concetto di malnutrizione anche a coloro che assumono una quantità di cibo e quindi di calorie in eccesso rispetto ai loro fabbisogni giornalieri, portando a problemi di sovrappeso e nei casi più estremi a quelli di obesità.
Il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, ha dichiarato: "per affrontare tutte le forme di malnutrizione e promuovere diete sane, dobbiamo mettere in atto sistemi alimentari che aumentino la disponibilità, l'accessibilità e il consumo di alimenti freschi e ricchi di nutrienti per tutti. Adottando azioni specifiche per ridurre le perdite e gli sprechi di alimenti freschi e il cibo nutriente è una parte fondamentale di questo sforzo. Al contempo è necessario condurre campagne di educazioni capaci di fornire le conoscenze base per comprendere quelli che sono i giusti apporti di cibo e calorie che ogni soggetto deve assumere ogni giorno per contrastare il problema dell’obesità"[2].
In merito al problema dell’obesità è bene sottolineare come questa, direttamente e indirettamente, crea anche problemi economici, diventando un importante fardello anche e soprattutto per i Paesi più sviluppati. Ad oggi costa circa 2.000 miliardi di dollari, l’equivalente del PIL dell’Italia[3]. La World Obesity Foundation ha stimato che la spesa annua globale per le spese mediche legate al sovrappeso e all’obesità, ammonteranno a circa 1.200 miliardi di dollari nel 2025, data in cui circa un terzo della popolazione mondiale sarà afflitta da una di queste due patologie. Questa teoria è supportata dall’OCED, le cui stime evidenziano un inesorabile aumento dei tassi di obesità dei Paesi ricchi, con una prospettiva da qui al 2030 pari ai dati riportati qui di seguito: America +47%, Messico +39%, Gran Bretagna +35%. Gli Stati Uniti potrebbero addirittura passare da un 34% di obesi, dato fatto registrare nel 2014, ad un possibile 41% entro il 2025 causando un aumento della spesa sanitaria da 324 a 555 miliardi di dollari[4].
Passando al nostro Paese, dall’Italian Barometer Reportecondo emerge che in Italia, nel 2017, oltre 23 milioni di persone con più di 18 anni erano in eccesso di peso. Di questi, 18 milioni erano in sovrappeso e 5 milioni erano obesi, ciò significa che il 46% degli adulti italiani è in una condizione di eccesso di peso. Il documento puntualizza come la percentuale di persone obese si rileva soprattutto nei centri abitati più piccoli (meno di 2.000 abitanti), ma al tempo stesso, nel periodo compreso fra il 2001 e il 2017, gli incrementi dei soggetti sovrappeso si è registrato soprattutto nelle aree metropolitane3. Come visto a livello globale tale problematica si ripercuote sulle casse pubbliche, a ciò non fa eccezione l’Italia. Secondo i dati riportati durante l’Obesity Day del 2018, l’impatto economico delle persone in sovrappeso in Italia raggiunge dimensioni notevoli: l’obesità incide sull’economia nazionale per circa 6 miliardi di euro annui, 9 miliardi di euro se si considerano le spese sanitarie4. La situazione purtroppo non può che peggiorare, secondo alcuni studi, infatti, entro il 2050 il numero di obesi potrebbe salire a circa 14 milioni, in quel caso l’obesità costerebbe al sistema sanitario circa 24,3 miliardi di euro con una incidenza sul PIL pari a circa il 10,6% portando quindi tra il 2010 e il 2050 ad una spesa complessiva di 347,5 miliardi di euro[5].
Ma ora addentriamoci un po’ di più sul legame che intercorre tra spreco alimentare e obesità e, per farlo, ricorriamo alla definizione di spreco fornita da Vaclav Smil (economista della Repubblica Ceca), il quale sottolinea come l’eccessiva nutrizione di un individuo può e deve essere considerata una forma di spreco alimentare. I dati che riporteremo qui di seguito per il caso italiano ci faranno apparire ancor più chiara la correlazione tra spreco e obesità.
Come riportato qualche paragrafo fa, in Italia 5.414.195 di individui sono obesi, il 10,7% della popolazione adulta. Ciò, secondo una complessa serie di calcoli fatti, in cui si prende in considerazione l’indice di massa corporea, il metabolismo basale, i livelli di attività fisica, l’altezza, il pesa e l’età, porta ad affermare che, un adulto obeso consuma in media in un pasto giornaliero circa 4.094 grammi di cibo rispetto ai 1.430 grammi di un adulto normopeso, con un surplus in peso che equivale a circa 2.664 g. Tale dato, dunque, dimostra la concreta correlazione tra spreco alimentare, inteso come surplus alimentare, ed obesità, che affligge una seria parte della popolazione.
Nel rapporto ISPRA, presentato al Ministero dell’Ambiente, è possibile notare come la sovralimentazione sia una vera e propria piaga mondiale. I dati FAOSTAT non sono recentissimi (2013), tuttavia riportano come in Europa vengono assunte in media circa 1230 kcal/persona/giorno oltre il fabbisogno medio. In Italia il consumo va leggermente meglio (1100 kcal/persona/giorno), tuttavia il giusto equilibrio non è stato ancora raggiunto. Riuscire quindi a controllare lo spreco calorico è il primo passo per garantire diete adeguate, un’aspettativa di vita ragionevole ed anche avere più rispetto per l’ambiente: basti pensare che ogni anno lo spreco alimentare porta all’emissione di circa 24,5 milioni di tonnellate di Co2 e circa 228 tonnellate di azoto[6].
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[1] J. Kufuor, J. Beddington, A. Adesina, T. Arnold, J. Graziano, e A. Kalibata, «The Global Panel is an independent group of influential experts with a commitment to tackling global challenges in food and nutrition security. It works to ensure that agriculture and food systems support access to nutritious foods at every stage of life.», pag. 28.
[2] «FAO - News Article: Non sprecare: migliorare le diete riducendo le perdite e lo spreco di cibo». http://www.fao.org/news/story/it/item/1165243/icode/ (consultato giu. 27, 2020).
[3] «OBESITY-REPORT-2019.pdf». Consultato: giu. 12, 2020. [In linea]. Available at: http://www.ibdo.it/pdf/OBESITY-REPORT-2019.pdf.
[4] «Il costo dell’obesità in Italia e nel mondo | Starting Finance», apr. 03, 2019. https://www.startingfinance.com/approfondimenti/obesita-in-italia/ (consultato giu. 13, 2020).
[5] «Obesità: gli impatti sulla salute pubblica e sulla società». Consultato: giu. 16, 2020. [In linea]. Available at: https://www.barillacfn.com/m/publications/lay-paper.pdf.
[6] «Rapporto ISPRA». Consultato: dicembre 30, 2021. [In linea]. Available at: https://www.isprambiente.gov.it/files2019/pubblicazioni/rapporti/RAPPORTOSPRECOALIMENTARE_279_2018.pdf.