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Inventario di fine anno e valutazione delle rimanenze. Profili civilistici e fiscali generali: attenzione al settore agricolo

 

Con la chiusura di fine anno, si rende necessario provvedere alla valutazione delle giacenze di magazzino relativamente a merci, materie prime, prodotti in corso di lavorazione, lavori e servizi in corso su ordinazione e prodotti finiti esistenti al 31 dicembre 2015 presso l'impresa, i suoi magazzini e depositi, le sue eventuali unità locali, ovvero anche presso terzi (per esempio in conto deposito o in conto lavorazione). 

Tale valutazione di fine anno è finalizzata alla verifica della corrispondenza tra le giacenze effettive e le risultanze contabili e viene effettuata in base alle risultanze della contabilità di magazzino ovvero in base alla verifica fisica (inventario di fatto), da effettuarsi alla data di riferimento del bilancio (quindi 31.12.2015 per i soggetti il cui periodo di imposta coincide con l’anno solare). 

Pertanto tutti coloro che svolgono attività d’impresa dovranno redigere l’inventario analitico di magazzino, nel quale dovranno essere indicate su apposita distinta analitica le giacenze.
Si ricorda che la valutazione deve essere riferita ai suddetti beni:

- presenti presso l’impresa;
- presenti presso i suoi magazzini e depositi, nonché presso le eventuali unità locali;
- presenti presso terzi (per esempio in conto deposito o in conto lavorazione).

Devono, invece, essere esclusi i beni esistenti presso la società ma giuridicamente di proprietà di terzi, per esempio ricevuti in deposito, lavorazione o visione, che troveranno opportuna indicazione tra i conti d’ordine.
Il processo di stima e quantificazione delle rimanenze assume rilevanza sotto un duplice profilo:
• civilistico – ossia di conformità alle norme dettate dal codice civile;
• fiscale – ossia di conformità alle norme fiscali (Tuir).

PROFILI CIVILISTICI

La norma di riferimento del codice civile in materia di rimanenze è l’art. 2426.
L’art. 2426 n. 9) del c.c. stabilisce che “le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, …, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall'andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione;”.
Il successivo punto n. 10) del medesimo articolo, offre i criteri per la determinazione del “costo” e, a tal fine, stabilisce “il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: "primo entrato, primo uscito o: "ultimo entrato, primo uscito; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell'esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa;”.
Ciò premesso, ai fini civilistici le rimanenze devono essere valutate come segue:

a) al costo di acquisto, maggiorato degli oneri accessori;
b) al costo di produzione, quando il bene viene prodotto, interamente o anche a mezzo di terzi, dall’impresa;
c) per i soli beni fungibili (beni con caratteristiche analoghe sostituibili fra loro), la valutazione può essere effettuata col metodo della media ponderata e con quelli “primo entrato, prima uscito” (F.i.f.o) o “ultimo entrato, primo uscito” (L.i.f.o.).

Qualora il costo, come sopra identificato, dovesse essere inferiore al valore di mercato, tale ultimo parametro deve essere preso a base per la definizione del valore delle rimanenze.

a) Costo di acquisto
Il costo di acquisto deriva dalla sommatoria algebrica:
- Costo di acquisto
al netto di
- Sconti commerciali, abbuoni e premi,
- Contributi in conto esercizio,
maggiorato di
- Tutti gli oneri accessori (trasporto, provvigioni, carico e scarico, assemblaggio, spese, tasse e dazi di importazione, oneri di urbanizzazione, cioè tutti i costi connessi al contratto ed i costi relativi al ricevimento e alla presa in possesso).
- Iva indetraibile

b) Costo di produzione
I costi di produzione, che possono essere diretti o indiretti, comprendono:
- costo delle materie prime e sussidiarie semilavorati e imballaggi, inclusi i costi di trasporto, facchinaggio, dazi e qualsiasi altro onere accessorio;
- materiali di consumo;
- costi relativi a licenze di produzione;
- manodopera diretta, indiretta e personale tecnico di stabilimento;
- l’energia elettrica;
- gli ammortamenti, i noli, le manutenzioni e riparazioni dei macchinari impiegati nella produzione;
- i costi per assicurazioni e fideiussioni specifiche;
- i costi di progettazione e direzioni lavori;
- i costi preoperativi, tra cui i costi di progettazione e per studi specifici della commessa ed i costi di organizzazione e di avvio dei lavori;
- altri costi generali di produzione o industriali;
- interessi passivi specifici ovvero relativi alle somme che sono state impiegate nell’opera o nella commessa, fino al momento in cui il bene può essere utilizzato.
I costi di distribuzione, le spese generali e amministrative non possono essere computate nel costo di produzione.

c.1) Costo medio ponderato
Il costo medio ponderato dei beni risulta dalla divisione del costo complessivo dei beni acquistati o prodotti nell’esercizio, per la loro quantità.

c.2) L.i.f.o. a scatti
Il metodo Lifo (ultimo entrato primo uscito) tende a contrapporre costi correnti (più recenti) a ricavi correnti, valutando il magazzino ai costi più vecchi.
Con il lifo le rimanenze, nel primo esercizio di formazione, sono valutate al costo medio ponderato.
Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto al periodo precedente, il valore delle rimanenze è dato dalla somma delle giacenze iniziali più le maggiori quantità valutate al costo medio ponderato dell’esercizio.
Se invece la quantità è diminuita, il decremento annulla gli incrementi formatisi nei periodi precedenti, a partire dal più recente.

c.2.1) Lifo continuo
Si differenzia dal lifo a scatti in quanto le regole da quest’ultimo previste si applicano ad ogni acquisto anziché annualmente, a fine esercizio.

c.3) F.i.f.o.
Con il Fifo (primo entrato primo uscito) si immagina che le uscite dei beni dal magazzino avvengano nello stesso ordine di entrata. Le rimanenze sono perciò rappresentate dai beni di più recente acquisizione. La valutazione va quindi effettuata ai costi/prezzi più recenti.

c.4) Costo specifico
Ogni singolo bene viene valutato al suo prezzo di acquisto o di produzione.

d) Valore di mercato
Per valore di mercato deve intendersi il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, fino al momento dell’approvazione del bilancio da parte dell’assemblea.
La norma non richiede che la svalutazione di valore abbia carattere durevole, ma ritiene sufficiente che, ai fini della svalutazione, la stessa possa avere anche carattere congiunturale dal momento che le rimanenze possono essere produttrici di perdite nel breve periodo.
Tale valore minore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi.
Questo “valore minore” attribuito alle rimanenze, costituisce nuovo periodo di formazione per la valutazione Lifo ed è fiscalmente riconosciuto anche negli esercizi successivi, purché non si iscrivano ad un valore superiore secondo le disposizioni civilistiche.
La valutazione al minore tra costo e mercato si effettua di solito voce per voce, ovvero creando apposito fondo svalutazione da opporre in bilancio a rettifica diretta della voce rimanenze.

PROFILI FISCALI

La disciplina fiscale delle rimanenze è dettata dall’art. 92 del TUIR il quale si limita a stabilire un valore minimo e non fa alcuna distinzione tra beni fungibili e infungibili.
Le imprese che in bilancio valutano le rimanenze con i metodi della media ponderata, del Fifo o con varianti del Lifo (a scatti e continuo), potranno conservare gli stessi valori anche ai fini fiscali.
Ne consegue che i metodi previsti dal codice civile (costi specifici, Lifo, Fifo, media ponderata) assumono piena valenza fiscale; se invece la valutazione delle rimanenze in bilancio viene effettuata con metodi diversi da quelli ammessi dal c.c., il valore delle giacenze finali non può essere inferiore a quello che si ottiene con il Lifo a scatti annuali.
Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato secondo il metodo di valutazione applicato, con esclusione di quello a valore specifico, risulta superiore al valore medio dei beni nell’ultimo mese dell’esercizio (anche per obsolescenza, moda, danni, deterioramenti) l’intera quantità delle rimanenze, indipendentemente dal periodo di formazione, si moltiplica per il valore nomale (art.92, c.5, Tuir).
Il valore normale costituisce l’equivalente fiscale del concetto civilistico di valore di mercato. Il valore normale è il prezzo mediamente praticato per merci della stessa specie o simili, in situazione di libera concorrenza, nel medesimo stadio di commercializzazione, nel medesimo luogo o in quello più prossimo. In pratica, per valore normale ci si riferisce al listino prezzi dell’azienda, o ai listini di borsa o alle mercuriali ed ai listini delle camere di commercio.

SPECIFICITÀ FISCALI PER IL SETTORE AGRICOLO

Allevamenti
Per gli animali alla cui produzione e scambio è diretta l'attività dell'impresa, e per tutti i prodotti realizzati nel fondo destinati alla vendita, i costi concorrono alla formazione del reddito nell'esercizio di sostenimento, se gli animali o i prodotti ottenuti sono stati ceduti nel corso dello stesso.
Se i prodotti ottenuti sono, invece, presenti alla fine dell'esercizio, i costi restano sospesi come rimanenze finali, in attesa del conseguimento dei correlati ricavi.
La valutazione di tali rimanenze sarà effettuata ai sensi dell'articolo 92 del Tuir.
Le scorte vive devono essere raggruppate in categorie omogenee per natura e per valore; tuttavia, ove ciò non fosse possibile, la relativa valutazione sarà effettuata in base alle spese sostenute (articolo 92, comma 6) ed il costo di acquisto va incrementato delle spese di allevamento relative all'esercizio, per la parte del loro ammontare attribuibile a ciascun animale (circolare AE n. 11/1991).
Tale ultimo criterio è utilizzabile in presenza di beni che alla fine dell'esercizio non sono finiti (animali in allevamento, colture in corso, ecc.), che possono ragionevolmente essere definiti prodotti in corso di lavorazione.

Piante destinate alla silvicoltura e alla produzione di frutta
Le piante destinate alla silvicoltura e alla produzione di frutta non sono soggette ad ammortamento e sono considerate spese pluriennali, a norma dell'articolo 108, comma 3.
Inoltre, i costi di acquisizione e quelli di mantenimento devono essere capitalizzati fino al momento nel quale vengono conseguiti i ricavi derivanti dalla vendita del legname ottenuto con il taglio delle piante.
Per le piante da frutta, le spese di mantenimento sono deducibili nell'esercizio di sostenimento, se la cessione della frutta avviene nel corso dello stesso, ovvero nell'esercizio nel quale la cessione stessa si verifica.
I costi delle piante destinate alla vendita sono deducibili nell'esercizio di sostenimento ovvero restano sospesi in attesa del conseguimento dei relativi ricavi. Le piante in giacenza vanno raggruppate in categorie omogenee per natura e per valore, ai sensi dell'articolo 92.



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