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Il 7 marzo 2015 entra ufficialmente in vigore il Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015 recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Si tratta di uno dei due Decreti attuativi della Legge Delega sul Jobs Act. Il Decreto sul riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali è stato anch’esso pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed in vigore sempre dal 7 marzo 2015, riguarda la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASPI).
In questa sede affrontiamo un’analisi del cambiamento che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti porterà nel mondo del lavoro.
Le disposizioni del Decreto riguardano i lavoratori con qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015.
L’obiettivo principale del nuovo contratto è sicuramente quello di rendere più semplice il percorso di uscita di un lavoratore dipendente dall’azienda presso la quale risulta assunto. Ai Giudici viene tolta la discrezionalità di giudizio, sostituendola con una chiara quantificazione che il datore di lavoro dovrà riconoscere in caso di licenziamento illegittimo.
Altro elemento di svolta è rappresentato dalla reintegra in azienda, che non sarà più la regola (come previsto dalla Legge Fornero), ma l’eccezione.
Aziende con PIU’ di 15 dipendenti ed Aziende Agricole con PIU’ di 5 dipendenti assunti a Tempo Indeterminato |
(Art. 18, comma 8 e 9 L. 300/70, Statuto dei Lavoratori) |
Le regole in materia di licenziamento disciplinate dal Decreto valgono anche per i lavoratori assunti in data antecedente l’entrata in vigore della norma SOLO nel caso in cuil’azienda superi il limite di 15 dipendenti (o 5 se azienda agricola) con i nuovi contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti.
In caso di licenziamento illegittimo per Giustificato Motivo Oggettivo, Soggettivo o Giusta Causa scompare per sempre la tutela reale e quindi la reintegra del lavoratore in azienda.
Viene introdotto, in sostituzione, un incentivo economico certo e crescente in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore.
In tali casi il Giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro dalla data di licenziamento, obbligando il Datore di Lavoro al pagamento di un’indennità esente da imposte e contributi di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24.
La reintegra è invece prevista in caso di licenziamento Disciplinare fondato su un fatto di cui sia provata l’inesistenza materiale, in caso di licenziamento Discriminatorio o comunque negli altri casi di nullità previsti dalla Legge.
Il Giudice oltre alla reintegra sul posto di lavoro, condanna il Datore di Lavoro al pagamento di un’indennità che sarà calcolata sull’ultima retribuzione globale di fatto maturata dalla data di licenziamento, sino al giorno effettivo della reintegrazione in azienda, ed al versamento dei relativi contributi.
Aziende con MENO di 15 dipendenti ed Aziende Agricole con MENO di 5 dipendenti assunti a Tempo Indeterminato |
Per questa tipologia di aziende, la reintegra non era e non è prevista. In caso di licenziamento illegittimo l’ammontare delle indennità esente da imposte e contributi è dimezzato rispetto alle aziende con più di 15 dipendenti, con un massimo di 6 mensilità. La disciplina del presente decreto si applica anche a Partiti Politici e Sindacati
In sede di conversione del Decreto, la novità riguarda i contratti di lavoro stipulati a termine in data antecedente l’entrata in vigore della Legge, ma convertiti a tempo indeterminato in data successiva al 7 marzo. Anche a questi contratti si applicheranno le nuove regole previste dal contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
L’art. 6, introduce l’offerta conciliativa, che prevede la prevede in tutti i casi di licenziamento la possibilità di evitare il ricorso al Giudice sostituendola con una soluzione conciliativa da effettuarsi in sede protetta (Direzione Territoriale del Lavoro, sede Sindacale, commissione di certificazione).
Entro 60 giorni dal licenziamento il datore di lavoro per evitare eventuali conteziosi in sede giudiziale, può offrire al lavoratore licenziato una somma pari ad una mensilità da calcolarsi sull’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio con un limite minimo di 2 mensilità ed un massimo di 18.
La somma concordata sarà esente da ritenute fiscali e previdenziali e dovrà essere erogata al lavoratore mediante emissione di un assegno circolare. L’accettazione da parte del lavoratore dell’assegno comporterà per lo stesso l’impossibilità a procedere in via giudiziale per impugnare il licenziamento ritenuto illegittimo.
Le modifiche introdotte dal Decreto valgono anche per i licenziamenti collettivi (L. 223/91) ovvero quando l’imprenditore nell’arco di 120 giorni intende effettuare almeno 5 licenziamenti.
Le disposizioni previste dalla L. 223/91 prevedono la reintegrazione sul luogo di lavoro ed il pagamento di un risarcimento fino a 12 mensilità nel caso in cui il Datore di Lavoro violi i criteri di scelta dei lavoratori.
In tutti gli altri casi le disposizioni precedenti a tale Decreto prevedevano l’erogazione di un indennità di risarcimento.
Con il nuovo Decreto nel caso in cui venissero violati i criteri di scelta o la procedura di licenziamento preveda vizi procedurali, il Giudice condanna il Datore di Lavoro al pagamento di un’indennità economica con un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità escludendo la possibilità di reintegra del lavoratore. Quest’ultima ipotesi è prevista solo nel caso in cui il licenziamento venga intimato senza l’osservanza della forma scritta.
Si aprono quindi tre strade differenti per i licenziamenti creando un “ingorgo” normativo tra vecchi e nuovi contratti di lavoro:
1) I lavoratori assunti nel settore privato con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, stipulato quindi dopo l’entrata in vigore del Decreto attuativo, saranno applicabili le norme previste dalla riforma del lavoro;
2) I lavoratori assunti nel settore privato prima dell’entrata in vigore del Jobs Act, continueranno ad essere regolati dalle norme previste dalla Legge Fornero;
3) I lavoratori pubblici che continueranno ad essere regolati dalle disposizioni previste dall’art. 18.