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Il contenzioso sui contributi relativi ai consorzi di bonifica è decisamente sterminato e, negli ultimi anni, sempre più uniformato ad un orientamento fattosi sempre più conforme da parte dei giudici di ogni ordine e grado.
L’ultima importante decisione sul tema è la sentenza n. 188/2018 della Corte Costituzionale che si è pronunciata sul caso relativo ad una cartella di pagamento notificata ad un agricoltore calabrese.
Un contribuente calabrese aveva presentato ricorso contro il consorzio di bonifica e contro Equitalia per una cartella di pagamento ricevuta, relativa al mancato pagamento dei contributi di bonifica per l’anno 2010.
Secondo il contribuente, tale pretesa era da ritenersi illegittima in quanto il fondo di proprietà non aveva goduto di alcun beneficio dall’attività dell’ente. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Consulta ha confermato tali tesi, sostenendo che il contributo consortile non è dovuto senza la provata e concreta presenza di un beneficio per il fondo.
La CTP di Cosenza, a seguito di tale ricorso, sollevava una questione di illegittimità costituzionale in merito all’operatività dell’art. 23, comma 1 della legge n. 11/2003 della Regione Calabria, nel caso in cui il consorziato sia costretto a pagare il contributo di bonifica senza aver avuto alcun beneficio diretto nel proprio fondo.
Chiamata a pronunciarsi sul tema, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata disposizione di legge regionale, precisando che il contributo di bonifica non va corrisposto se non sussiste alcun beneficio per il consorziato.
I giudici costituzionali hanno spiegato che, in prima battuta, ai fini della debenza dei contributi di bonifica è necessario valutare in maniera concreta la fruizione di un beneficio da parte del contribuente. Non è sufficiente che ci sia una potenziale utilità nell’attività di bonifica, i relativi benefici devono essere goduti concretamente.
Pertanto, è il concreto miglioramento agli immobili che rappresenta la giustificazione dell’imposizione dei contributi consortili di bonifica, quella “capacità contributiva” richiamata anche dall’art. 53 della Costituzione.
La prestazione patrimoniale imponibile, invece, è il “beneficio”, ossia l’utilità generata dalle attività del consorzio di bonifica con riferimento al singolo fondo.
Nel caso specifico, la legge regionale prevedeva che ogni consorziato dovesse versare una quota di contributi per le spese consortili di gestione e rappresentanza, a prescindere dall’utilità goduta, e una quota collegata ai benefici ottenuti dal fondo, sulla base di quanto previsto dai relativi piani di classifica (peraltro mai redatti).
Come precisato dalla Corte Costituzionale, non è possibile sganciare l’obbligo contributivo dai terreni e dai relativi benefici ottenuti dall’attività del consorzio di bonifica.
Pertanto, la cartella notificata al contribuente, per il recupero degli oneri non versati, deve ritenersi illegittima.