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Il TAR del Lazio rinvia ai giudici europei la decisione sulla compatibilità con la disciplina unionale del decreto “spalma incentivi” che ha rivisto, a posteriori, le misure previste per gli impianti fotovoltaici.
Con il D.L. n. 91/2014, il Governo, per evidenti motivi di gettito, aveva modificato gli equilibri economici sui rapporti già contrattualmente in essere tra gli operatori che avevano investito sulle energie rinnovabili ed il GSE, generando forti dubbi circa la legittimità della disposizione.
Il TAR del Lazio, ravvisando alcuni profili di incompatibilità tra le disposizioni introdotte dal D.L. 91/2014 ed il diritto comunitario ha posto la questione al vaglio della Corte di giustizia europea.
Come anticipato la vicenda risale alla norma introdotta dall’’art. 26, commi 2 e 3 del D.L. n. 91/2014 che prevedeva una rimodulazione degli incentivi per gli impianti produttivi di energia elettrica da fonti fotovoltaiche.
In particolare, il comma 2 ha modificato unilateralmente le condizioni contrattuali in essere, introducendo il concetto della “producibilità media annua” in sostituzione di quello della “produzione effettiva”, disponendo, dal secondo semestre 2014, il pagamento del 90% delle tariffe incentivanti precedentemente definite.
Inoltre, il comma 3 imponeva agli operatori degli impianti con potenza superiore a 200 KW di scegliere una delle seguenti opzioni:
La norma, impattando direttamente sulla pianificazione economica e finanziaria delle imprese che avevano avviato investimenti in questo settore, è stata oggetto di forti critiche da parte delle imprese e di Assorinnovabili.
Le critiche erano dovute anche al fatto che il provvedimento rappresentasse un ulteriore elemento di criticità in merito all’attrattiva dell’Italia per gli investimenti esteri.
Ricordiamo inoltre, che sulla questione il TAR del Lazio aveva impugnato l’art.26 del D.L. n. 91/2014 davanti alla Corte Costituzionale, evidenziando il fatto che rappresentasse per le imprese “una lesione immediata e diretta della propria situazione giuridica soggettiva, coincidente con la pretesa al mantenimento dell’incentivo riportato nella convenzione”.
La Corte Costituzionale si è espressa con la sentenza n. 16/2017 definendo infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, precisando inoltre, che la norma “non è tale da penalizzare gli operatori del settore, ai quali anzi garantisce, a regime, una maggiore certezza e stabilità dei flussi finanziari, per effetto del previsto meccanismo di anticipazione-conguaglio, basato sulla corresponsione di rate mensili, di importo costante, corrispondenti al "90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell'anno solare di produzione" e successivo "conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell'anno successivo".
Quindi, secondo la Corte è lecito il principio espresso dalla norma, - ovvero la possibilità di concedere al legislatore la possibilità di emanare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata-, fermo restando che dette disposizioni non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, minando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica.
Ora, il TAR del Lazio chiama in causa giudici europei, chiedendo loro se sia consentito al legislatore nazionale di mettere mano a posizioni consolidate da precedenti provvedimenti di ammissione agli incentivi, che hanno prodotto i loro effetti nelle convenzioni ventennali stipulate tra gli operatori economici del settore ed il GSE.
Gli eurogiudici sono quindi chiamati ad esprimersi sui principi del legittimo affidamento, della certezza del diritto ed il diritto di proprietà previsti dalla Carta dei diritti fondamentali della UE.
Non rimane che attendere con trepidazione la decisione della Corte di giustizia UE, a cui sono appese le speranze di coloro che avendo investito in un’attività si sono visti cambiare regole già definite, ma anche di coloro che, in generale, credono che la certezza del diritto non possa ammettere la revisione retroattiva delle norme.