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Una delle regole generali della disciplina fallimentare è che l’imprenditore agricolo non può fallire. Ma questo non esclude la crisi d’impresa, la cui gestione può essere effettuata tramite apposite procedure.
Tale gestione può però comportare diverse problematiche, ad esempio ai fini IVA, come nel caso recentemente analizzato dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 104/2018 del 10 dicembre.
Il caso
La questione controversa riguardava un’azienda agricola, il cui titolare era stato sottoposto ad una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, la quale veniva successivamente convertita dal Tribunale in una procedura di liquidazione del patrimonio del proprietario.
Tra i beni di proprietà di quest’ultimo c’erano anche alcuni immobili per cui, nell’atto di cessione, era possibile esercitare l’opzione per l’imponibilità di cui all’art. 10, comma 8-ter del DPR 633/1972, il quale prevede che sono esenti dall’imposta “le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell'edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell'intervento, e quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l'opzione per l'imposizione”
In merito a tale previsione, chiedeva l’istante, se lo sconto d’imposta spettava al soggetto indebitato o al liquidatore del patrimonio.
Il parere dell’Agenzia
Nella sua argomentazione, l’Agenzia parte dall’analisi della L. 3/2012 che ha istituito apposite procedure volte a gestire le situazioni di crisi che investono i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina fallimentare e degli altri istituti delineati nella L. 267/1942.
Tra i nuovi istituti, oltre all’accordo di composizione della crisi e al piano del consumatore, menzione particolare merita la liquidazione del patrimonio.
Tale procedura può essere attivata sia dal soggetto indebitato che dal giudice, su istanza di debitori e creditori, quando ci sia stato l’annullamento o la risoluzione dell’accordo di composizione della crisi oppure quando sia avvenuta la cessazione degli effetti del piano del consumatore.
Il decreto di apertura della procedura di liquidazione è equiparato ad un atto di pignoramento e determina un’indisponibilità relativa dei beni da liquidare. Il giudice, altresì, ordina lo spossessamento degli stessi in favore del liquidatore.
È importante evidenziare che tale spossessamento toglie al proprietario il potere di disposizione e godimento dei beni dell’impresa, ma non la titolarità giuridica e, conseguentemente, l’eventuale soggettività passiva d’imposta in caso di cessione ai terzi resta in capo al soggetto indebitato.
Pertanto, l’esercizio dell’opzione di cui all’art. 10, comma 8-ter del DPR 633/1972 deve essere riconosciuto al soggetto sovraindebitato, in quanto è lui il titolare del diritto di proprietà sul bene oggetto di cessione.