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I titolari di partita IVA che, rientrando nel nuovo limite di ricavi di 65.000 euro, decideranno di tassare forfettariamente i ricavi/compensi (al 15% o 5% in caso di start-up) dovranno prima valutarne l’effettiva convenienza.
Con l’innalzamento del limite dei ricavi a 65.000 euro, la Finanziaria del 2019 ha sicuramente ampliato l’accesso al regime forfettario ma, nonostante la modalità di tassazione risulti particolarmente conveniente, i contribuenti intenzionati ad accedere a tale regime devono prestare particolare attenzione a vari aspetti.
La convenienza fiscale deve essere misurata in base a tre elementi: l’irrilevanza dei costi nella determinazione dell’imponibile, la gestione dell’IVA e l’esenzione dagli obblighi contabili/fiscali.
In sede di determinazione della base imponibile da tassare, il regime forfettario non permette di effettuare deduzioni e detrazioni.
A tale aspetto devono prestare particolare attenzione le imprese con costi elevati che, se determinassero l’imponibile analiticamente (applicando deduzioni e detrazioni), potrebbero conseguire redditi minimi che permettono di godere di una tassazione più vantaggiosa di quella determinabile dall’applicazione del forfait sui ricavi lordi.
Per analoghi motivi, anche i soggetti che possono dedurre e detrarre spese e oneri anche per ragioni estranee a quelle di impresa o professione, saranno avvantaggiati a rimanere nei regimi fiscali non flat perché più convenienti. Infatti, l’imposta sostitutiva applicata nel regime forfettario, non consente le suddette detrazioni e le deduzioni.
La gestione dell’IVA nel regime forfetario ha aspetti sia positivi che negativi.
Da un lato, tale regime vincola ad erogare servizi/beni nei confronti dei consumatori finali senza scontare l’IVA. A fronte di ciò, i forfettari possono attuare sul mercato prezzi inferiori rispetto agli ordinari (semplificati) diventando più competitivi.
D’altro canto, però, essendo tale regime non soggetto ad IVA, i forfettari perdono il beneficio di essere neutrali all’applicazione di tale imposta che, pertanto, si trasforma in un vero e proprio costo che grava sull’attività. Considerando che il sistema non permette la deduzione analitica dei costi sostenuti, l’IVA sugli acquisti diventa sia indetraibile che indeducibile.
Un’ulteriore criticità è data dall’obbligo di rettifica dell’IVA già detratta negli anni in cui si è applicato il regime ordinario (art. 19-bis2 del DPR n. 633/1972): la rettifica deve essere operata sia sui beni e servizi non ancora ceduti o utilizzati che sui beni ammortizzabili.
L’IVA relativa a beni e servizi non ancora ceduti o non ancora utilizzati deve essere rettificata in un’unica soluzione. Per i beni ammortizzabili, compresi quelli immateriali, l’IVA detratta all’atto dell’acquisto è rettificabile solo nel caso in cui non siano ancora trascorsi:
Prima di accedere al regime forfettario, quindi, è bene valutare a quanto ammonta l’IVA detratta che potrà essere oggetto di rettifiche poiché la stessa deve essere riversata.
I forfettari sono esenti dagli obblighi relativi all’IVA e, di conseguenza, sono esonerati:
[Gli argomenti trattati saranno oggetto di ulteriore approfondimento nell’articolo Nuovi forfettari: le nuove possibilità di accesso al regime di vantaggio – coma valutare la convenienza a permanere nel regime che sarà pubblicato nella rivista ConsulenzaAgricola del mese di febbraio 2019]