Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
Ritorna di attualità la questione della deducibilità dei contributi previdenziali agricoli pagati dal coltivatore diretto “capofamiglia”. L’Agenzia delle Entrate, in risposta ad un interpello sulla deducibilità dei contributi previdenziali corrisposti dagli imprenditori agricoli, ha ritenuto non deducibili tali contributi sia da parte dell’imprenditore agricolo che del familiare collaboratore, in quanto per il settore agricolo manca una disciplina esplicita del diritto di rivalsa.
L’articolo 10, comma 1, lett. a), del TUIR, stabilisce che sono oneri deducibili dal reddito complessivo “ i canoni, livelli, censi, ed altri oneri gravanti sui redditi degli immobili che concorrono a formare il reddito complessivo, compresi i contributi ai consorzi obbligatori per legge, o in dipendenza di provvedimenti della pubblica amministrazione; sono in ogni caso esclusi i contributi agricoli unificati”.
Considerata la collocazione dell’esclusione della deducibilità di tali oneri nella predetta lett. a), anziché nella lett. e), che invece prevede la deducibilità dei “contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge […]”, i contributi versati all’INPS – Gestione ex SCAU tornano ad essere deducibili.
A questo primo rompicapo se ne aggiunge un secondo, ovvero, il fatto che in caso di contributi corrisposti per conto di altri, come indicato anche nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione dei redditi, è possibile la detrazione sempre che sia ammesso (ed esercitato) il diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti per i quali sono stati effettivamente versati tali contributi.
Il diritto alla rivalsa dei contributi è stato indicato all’art. 2 della legge 233/1990 che ha riformato il trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi e che recita così: “Il titolare dell'impresa artigiana o commerciale è tenuto al pagamento dei contributi di cui all'articolo 1 per sé e per i coadiutori, salvo diritto di risalva”.
Come è facile rilevare il legislatore ha omesso di indicare tra i soggetti ammessi i coltivatori diretti i quali al pari di artigiani e commercianti pagano i contributi a proprio nome ma per conto dei componenti del nucleo familiare che partecipano alla conduzione dell’azienda.
Come anticipato, l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello 956-1781/2018 ha adottato un’interpretazione estremamente restrittiva, sostenendo che l’assenza di una disciplina esplicita del diritto di rivalsa nella disciplina giuridica dei contributi previdenziali versati dai titolari di imprese familiari in agricoltura in favore dei collaboratori/coadiutori familiari, non consente il riconoscimento della deducibilità ai fini dell’IRPEF di tali contributi sia da parte dell’imprenditore agricolo che da parte del collaboratore.
Premesso che non sono deducibili i contributi previdenziali corrisposti per i lavoratori dipendenti (Circ. Min. Finanze 137/E del 15/05/1997).
Nel settore agricolo, anche dal punto previdenziale, convivono due figure:
I contributi sono quindi deducibili in capo al coltivatore diretto ed all’imprenditore agricolo per le somme effettivamente corrisposte in base al principio di cassa. Inoltre, il coltivatore diretto potrà portare in deduzione anche la quota di contributi effettivamente corrisposta per i propri familiari a carico.
Per gli altri familiari non a carico, ai quali i contributi sono stati corrisposti dal capofamiglia, si ipotizza che la deduzione possa esser concessa attraverso l’esercizio del diritto di rivalsa.
Però secondo l’interpretazione espressa dall’Agenzia, limitatamente al settore agricolo, non sarebbero in nessun caso deducibili i contributi previdenziali per la quota relativa ai familiari in capo a questi ultimi.
Tale interpretazione a nostro giudizio non è condivisibile in quanto il fatto che il legislatore non abbia indicato tra i soggetti ammessi all’esercizio del diritto di rivalsa il coltivatore diretto, non significa che tale istituto non sia comunque applicabile alla categoria, tenendo anche conto che la quota di contributi afferente ai diversi soggetti ben determinabile.
L’art. 2 della L. 9 del 1963 ai fini dell’iscrizione previdenziale dei coltivatori diretti fa espresso riferimento al concetto di nucleo familiare e, a differenza delle altre categorie professionali, non prevede distinzioni se l’impresa è condotta in forma individuale, impresa familiare, società di persone o di capitali. Quindi nel caso di coltivatori diretti, il capofamiglia è sempre e comunque tenuto al pagamento dei contributi previdenziali per parenti e affini entro il quarto grado che collaborano stabilmente nell’attività
Tale interpretazione determina un’asimmetria ai fini della deducibilità dei contributi versati dai CD a fronte di situazioni pienamente sovrapponibili a quelle di artigiani e commercianti.
Vi è da dire inoltre che lo stesso comportamento dell’Agenzia non è uniforme su tutto il territorio. Vi sono infatti molti uffici che riconoscono già oggi il diritto di rivalsa anche per i contributi pagati dai CD.
Sarebbe quindi auspicabile un intervento dell’Amministrazione o del Legislatore che facesse finalmente chiarezza sulla questione, stabilendo che il diritto di rivalsa è applicabile anche nel settore agricolo.