Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
La Cassazione con sentenza n. 14038 pubblicata il 23 maggio scorso ha riconosciuto ad un’impresa il diritto di pagare solo la quota fissa della TIA in quanto l’attività non conferiva rifiuti al servizio pubblico di raccolta.
Il caso analizzato dai giudici di legittimità è relativo ad un’impresa di imballaggi che nell’attività produttiva provvedeva al completo recupero degli scarti di produzione del cartone e dei residui di inchiostri, nonché dei relativi contenitori tramite la relativa vendita ad imprese specializzate.
Alla società veniva contestato il mancato pagamento delle fatture emesse dal Gestore dei rifiuti per la TIA relative agli anni dal 2004 al 2009 con esclusivo riferimento alle aree adibite alla produzione ed al magazzino degli imballaggi. Fatture che la società contestava per il fatto di non conferire al Gestore alcun rifiuto qualificabile come rifiuto urbano non riciclabile.
La CTP ne aveva rigettato il ricorso. Invece, la CTR evidenziando che l’ente impositore aveva ritirato i cassonetti e non provvedeva ad alcuna raccolta ne aveva accolto l’appello riconoscendo l’esclusione dalla tassazione delle superfici adibite alla produzione ed al magazzino sia per quota fissa del tributo sia per quella variabile, già richiesta in misura ridotta, ritenendo le aree inidonee a produrre rifiuti.
La questione perveniva quindi ai Giudici di legittimità, i quali hanno evidenziato che la tariffa (TIA) deve provvedere alla copertura integrale dei costi per i servizi relativi alla gestione dei servizi urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico.
Tale tariffa si compone di una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio e ai relativi ammortamenti ed una quota rapportata al servizio fornito, ai rifiuti conferiti ed al costo di gestione.
Con regolamento del Ministro dell’ambiente, approvato con il D.P.R. n. 158/1999 è stato determinato il metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento. Pertanto, i criteri di determinazione delle due componenti della TIA prevedono degli indici fondati sulla quantità totale dei rifiuti prodotti nel Comune, sulla superficie delle utenze, sui coefficienti di potenziale produzione di rifiuti distinti in funzione delle attività non domestiche esercitate.
La Cassazione rileva che, a differenza della normativa sulla TARSU, l’art. 49 del “decreto Ronchi” stabilisce che la TIA deve sempre coprire l’intero costo del servizio di gestione dei rifiuti e che detta tariffa è dovuta anche per la gestione dei rifiuti “esterni”.
In linea con i principi espressi anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 238/2009, la TIA avendo la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti prodotti dal singolo soggetto passivo e quelli della collettività su aree di pubblica utilità, la quota fissa del tributo è sempre dovuta indipendentemente dall’effettiva produzione di rifiuti che, invece, potrà incidere esclusivamente sulla quota variabile.
Secondo i Giudici di legittimità, oltre all’applicazione di una riduzione sulla quota variabile della tariffa, qualora il contribuente dimostri che le aree suscettibili di smaltimento sono interessate da attività per le quali provvede al recupero dei rifiuti a mezzo ditte esterne, va previsto il diritto dell’esclusione integrale di tale componente.
Il principio espresso ha riflessi anche sull’attuale tributo. Infatti, il diritto di escludere dal pagamento della quota variabile della TIA ai soggetti che abbiamo fornito prova di provvedere autonomamente alla gestione dei rifiuti prodotti su superfici produttive idonee alla produzione di rifiuti urbani o assimilati trova applicazione anche per la TARI.