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L’integrativa di rettifica non salva dal reato penale commesso per la presentazione di una dichiarazione dei redditi infedele: questo è quanto chiarisce la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 29 maggio 2019 n. 23810.
Il legale rappresentante di una Spa, in relazione ai periodi di imposta 2010 e 2011, aveva presentato una dichiarazione imputando a tassazione un reddito imponibile pari a 100 euro per ciascun anno.
Tale dichiarazione, considerata infedele visto che il reale ammontare degli attivi imponibili della società era ben superiore a quanto dichiarato, era stata poi rettificata da una dichiarazione integrativa.
La Corte d’Appello di Messina condannava ad un anno e 8 mesi di reclusione il legale rappresentante della società, in quanto ritenuto colpevole del delitto di dichiarazione infedele.
L’appellante si difendeva affermando che non si poteva configurare il reato di infedele dichiarazione, poiché la presentazione nei termini di una dichiarazione integrativa, con cui aveva emendato quanto invece indicato con l'originaria dichiarazione, è una procedura espressamente prevista dalla normativa tributaria.
Gli ermellini, avvalorando la precedente pronuncia, hanno invece confermato la sussistenza del reato applicando le disposizioni del sistema sanzionatorio penale tributario ex D.Lgs. n. 158 del 2015.
Secondo la Terza Sezione Penale della Suprema Corte, valgono i principi di cui all’art. 4 del D.Lgs n. 74 del 2000, poi modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, secondo cui “è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente:
In altre parole, l’espresso riferimento alla “annualità” della dichiarazione ha effetti sulla determinazione del momento consumativo del reato: il delitto in esame, infatti, deve essere considerato un reato perfezionato con la presentazione della dichiarazione annuale infedele.
Sostanzialmente, l’illecito in esame ha natura istantanea e si sostanzia con la presentazione della sola dichiarazione annuale, escludendo quindi tutte le altre dichiarazioni fiscali presenti nel nostro ordinamento.
Inoltre, per potersi configurare quale reato, la norma afferma che la dichiarazione di elementi attivi inferiori a quelli effettivi, od elementi passivi inesistenti, debba avere un fine evasivo e cioè l’agente, con la propria condotta, miri al pagamento di minori imposte.
Ebbene, nel caso di specie è evidente che l’intento evasivo della contribuente poteva palesemente evincersi già al momento della presentazione della dichiarazione annuale in cui, trascurando i redditi percepiti dalla Spa, si indicava un imponibile nettamente inferiore a quello reale.
Infatti, il rappresentante legale della società non poteva negare di essere a conoscenza della presenza di ulteriori redditi conseguiti dalla Spa.
Fermo restando che ai fini del calcolo di prescrizione del reato si considera la data della presentazione della prima dichiarazione, non ha alcuna rilevanza penale la successiva presentazione di una dichiarazione integrativa rettificante quella originalmente presentata.