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Con la risposta n. 248 pubblicata ieri sul proprio sito, l’Agenzia delle Entrate mantiene la propria linea rigorosa circa la differenziazione della deducibilità dei contributi previdenziali tra i collaboratori familiari di imprese agricole rispetto a quelli che collaborano in imprese artigiane e commerciali.
Nel caso di contributi corrisposti per conto dei collaboratori di un’impresa familiare, come indicato anche nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione dei redditi, la deduzione spetta alla persona per conto della quale i contributi sono stati versati sempre che sia ammesso (ed esercitato) il diritto di rivalsa nei loro confronti.
Secondo l’Agenzia, per il settore dell’agricoltura, l’assenza di una disciplina esplicita del diritto di rivalsa nella normativa sui contributi previdenziali versati dai titolari di imprese familiari, anche qualora il titolare dell’impresa abbia effettivamente ottenuto il rimborso delle somme versate, determina l’impossibilità in capo al familiare di dedurre la propria quota di contributi previdenziali. Cosicché, salvo che egli non sia a carico del titolare dell’impresa, tale quota contributiva risulterà indeducibile.
Il diritto alla rivalsa dei contributi è stato indicato all’art. 2 della Legge 233/1990 che ha riformato il trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi e recita così: “Il titolare dell'impresa artigiana o commerciale è tenuto al pagamento dei contributi di cui all'articolo 1 per sé e per i coadiutori, salvo diritto di risalva”.
Come è facile rilevare, il legislatore ha omesso di indicare tra i soggetti ammessi i coltivatori diretti i quali, al pari di artigiani e commercianti, pagano i contributi a proprio nome ma per conto dei componenti del nucleo familiare che partecipano alla conduzione dell’azienda.
Premesso che non sono deducibili i contributi previdenziali corrisposti per i lavoratori dipendenti (Circ. Min. Finanze 137/E del 15/05/1997), ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. e) del TUIR sono deducibili dal reddito complessivo, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, “i contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge […]”. Pertanto, i contributi versati all’INPS – Gestione ex SCAU sono deducibili.
Il comma 2 dell’art. 10 del TUIR indica inoltre che i contributi previdenziali versati sono deducibili anche qualora siano versati in favore di familiari a carico.
Nel settore agricolo, anche dal punto previdenziale, convivono due figure:
I contributi sono quindi deducibili in capo al coltivatore diretto ed all’imprenditore agricolo per le somme effettivamente corrisposte in base al principio di cassa. Inoltre, il coltivatore diretto potrà portare in deduzione anche la quota di contributi effettivamente corrisposta per i propri familiari a carico.
Per gli altri familiari non a carico, i cui contributi sono stati corrisposti dal capofamiglia, si ipotizza che la deduzione possa esser concessa attraverso l’esercizio del diritto di rivalsa.
Però, secondo l’interpretazione espressa dall’Agenzia, limitatamente al settore agricolo, non sarebbero in nessun caso deducibili i contributi previdenziali per la quota relativa ai familiari in capo a questi ultimi.
Tale interpretazione a nostro giudizio non è condivisibile in quanto, se è pacifico il fatto che il legislatore non abbia indicato tra i soggetti ammessi all’esercizio del diritto di rivalsa il coltivatore diretto, ciò non significa che tale istituto non sia comunque applicabile alla categoria, tenendo anche conto che la quota di contributi afferente ai diversi soggetti sia ben determinabile.
Vi sono norme del codice civile e fiscali che indicano il principio generale che le somme versate per altri consentono il diritto di rivalsa.
Lo stesso art. 64, comma 1 del D.P.R. n. 600/1973 indica che “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non è diversamente stabilito in modo espresso”.
Tale disposizione, pur riferita ad aspetti tributari, è stata letta in un’ottica estensiva dalla stessa giurisprudenza che, preso atto che il legislatore non ha normato il diritto di rivalsa per l’impresa familiare agricola, ha comunque concesso la detrazione dei contributi al familiare che aveva provveduto a rimborsarne l’importo al titolare dell’impresa (Comm. Trib. Piemonte, sez. XII, Sent., 04-10-2010, n. 54).
L’art. 2 della L. 9/1963 ai fini dell’iscrizione previdenziale dei coltivatori diretti fa espresso riferimento al concetto di nucleo familiare e, a differenza delle altre categorie professionali, non prevede distinzioni se l’impresa è condotta in forma individuale, impresa familiare, società di persone o di capitali. Quindi nel caso di coltivatori diretti, il capofamiglia è sempre e comunque tenuto al pagamento dei contributi previdenziali per parenti e affini entro il quarto grado che collaborano stabilmente nell’attività.
L’interpretazione offerta dall’Agenzia determina una discutibile discriminazione ai fini della deducibilità dei contributi versati dai coltivatori diretti a fronte di situazioni pienamente sovrapponibili a quelle di artigiani e commercianti.
Si tratta di una questione che dovrebbe essere oggetto di attenzione da parte delle associazioni degli agricoltori al fine di promuovere un’idonea regolamentazione anche per il settore agricolo.