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Occorre preliminarmente ricordare come la successione agraria si differenzi da quella tradizionale in quanto è finalizzata a preservare la continuità nella titolarità dell’ordinamento produttivo e non del patrimonio del de cuius.
Per il perseguimento di questo fine ultimo, l’art. 49, primo comma, della Legge n. 203/1982 prevede che, nell’eventualità in cui venga a mancare il proprietario di fondi rustici, da lui o dalla sua famiglia condotti o coltivati direttamente, abbiano diritto a continuare nella conduzione o nella coltivazione dei fondi coloro tra gli eredi che, all’atto dell’apertura della successione, risultino aver esercitato o esercitino ancora attività agricola, in qualità di imprenditori agricoli professionali o di coltivatori diretti o di soggetti equiparati ai coltivatori diretti ex art. 7, comma 2, della Legge n. 203/1982.
Sotto il profilo soggettivo, negli ultimi anni la giurisprudenza ha previsto un ampliamento della categoria dei soggetti che possono rivendicare la gestione del fondo caduto in eredità al pari dell’imprenditore agricolo professionale e del coltivatore diretto. Secondo i giudici di merito, la ratio dell’art. 49 della Legge n. 203/1982 è quella di garantire, in generale, la continuazione nella gestione del fondo di proprietà del de cuius da parte di soggetti dotati di adeguate capacità tecniche e di conduzione. Ne consegue che detti requisiti oggettivi, attraverso un’interpretazione estensiva della disposizione normativa sopra richiamata, possano essere riscontrati anche in un erede che rivesta la qualifica di bracciante agricolo, qualora egli, all’atto dell’apertura della successione, abbia dimostrato di coltivare ininterrottamente da anni il fondo ereditato (Tribunale di Avellino, Sezione Specializzata Agraria, Sentenza n. 707 del 22.03.2016).
L’art. 49 della Legge n. 203/1982 fa inoltre un passo in avanti arrivando a precisare come la preferenza accordata agli eredi che risultino avere le caratteristiche per continuare nella conduzione o nella coltivazione dei fondi caduti in eredità, riguardi anche le porzioni di terreno che, a titolo di quota ereditaria, spettano agli altri coeredi, così che su quest’ultime si viene a costituire un affitto agrario coattivo. Detto in altri e più chiari termini, l’erede assume per legge la posizione di affittuario, rispetto alle porzioni di terreno cadute in comunione ereditaria, per la durata legale minima prevista per i contratti di affitto di fondi rustici.
Gli altri coeredi non possono in alcun modo opporsi a tale rapporto forzoso di affitto agrario, avendo solo diritto, in qualità di concedenti, a ricevere una somma di denaro a titolo di indennizzo, la quale è rappresentata dall’equo canone.
Ciò premesso, occorre fare una precisazione. Non tutti gli eredi che prima dell’apertura della successione esercitavano un’attività agricola sul fondo del de cuius sono interessati dalla costituzione coattiva del rapporto di affitto agrario rispetto alle porzioni di terreno di titolarità degli altri coeredi. La ragione si rinviene nel fatto che l’erede che avesse stipulato un contratto di affitto di fondo rustico con il de cuius, poi venuto a mancare, continua a beneficiare del godimento del bene anche a seguito della morte di quest’ultimo. L’art. 40, terzo comma, della Legge. n. 203/1982 sancisce infatti che i contratti di affitto di fondo rustico non si sciolgano per la morte del concedente.
Il rapporto di affitto agrario coattivo trova pertanto applicazione solo con riguardo a quegli eredi che svolgevano un’attività agricola in forza di un rapporto che è venuto meno a seguito della morte del de cuius.
Una volta chiarita la posizione dell’erede svolgente attività agricola sul fondo del de cuius rispetto a quella degli altri coeredi, occorre interrogarsi sulle sorti dell’affitto agrario voluto ex lege per decorso della durata minima. La risposta è suggerita dall’art. 4 della Legge n. 97/1994, secondo cui gli eredi affittuari delle porzioni di fondi rustici ricompresi nelle quote degli altri coeredi sono preferiti nell’acquisto della titolarità di dette porzioni di terreno. Per il valido esercizio del diritto di prelazione, nell’acquisto dei fondi rustici caduti in eredità e comprensivi anche delle porzioni di terreno di spettanza degli altri coeredi, è tuttavia necessario che l’affittuario rispetti i seguenti requisiti:
Infine e non da ultimo, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione nell’acquisto di dette porzioni di terreno di titolarità degli altri coeredi, l’affittuario, nei sei mesi successivi alla naturale scadenza del rapporto di affitto forzoso, è tenuto a notificare a questi ultimi, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, la propria intenzione di acquisto e a versare, entro i tre mesi seguenti l’avvenuta notifica di detta dichiarazione, il prezzo convenuto.
Stefania Avoni, avvocato