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Redazione
pacchetto-ortofloro-plus Florovivaismo e fisco: il ruolo della manipolazione delle piante acquistate e l'onere della prova

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le autorità fiscali, guardia di finanza e agenzia delle entrate, sono sempre più attente al mondo dell’agricoltura e, in tema di verifiche e accertamenti, uno dei settori maggiormente attenzionato è quello del florovivaismo. l'attività dei florovivaisti si distingue principalmente per una duplice dimensione: la coltivazione diretta di vegetali e la commercializzazione di piante acquistate da terzi. la coltivazione rappresenta il nucleo centrale dell'attività florovivaistica e comprende diverse pratiche agricole e tecniche colturali. così come previsto dalla disciplina civilistica ex 2135 c.c., per coltivazione si intende la cura e lo sviluppo di almeno una fase essenziale del ciclo biologico della pianta;. la commercializzazione di piante acquistate da altri fornitori, effettuata principalmente per rimanere competitivi e soddisfare la domanda di un mercato in continua evoluzione, consente ai florovivaisti di offrire varietà che non possono produrre internamente o di introdurre novità nel loro assortimento. uno dei principali problemi riscontrati durante le verifiche riguarda il secondo punto e, in particolare, l'inquadramento fiscale dei ricavi provenienti dalla commercializzazione di vegetali acquistati da terzi e poi rivenduti. infatti, dal puto di vista civilistico, il legislatore ha voluto offrire la possibilità di espandere l’attività di vendita delle piante introducendo le attività connesse, che comprendono operazioni complementari all’’attività agricola principale. l’art. 2135, infatti, prevede la possibilità di svolgere attività di manipolazione, conservazione e commercializzazione di prodotti agricoli. con riferimento alla "commercializzazione di piante acquistate da terzi", è importante evidenziare che tale attività non può beneficiare della tassazione catastale se le piante non subiscono alcun tipo di manipolazione o trasformazione (principio derivante dal tenore letterale dell’art. 32 del tuir e dall’interpretazione offerta dall’agenzia delle entrate con il noto documento di prassi, risoluzione n. 11/e/2018 e circolare n. 44/e/2004). inoltre, affinché i prodotti trasformati o manipolati possano essere considerati ai fini di tale regime fiscale agricolo, essi devono derivare prevalentemente dall’attività agricola principale svolta dall’impresa. è indubbio, quindi, che le attività che vengono svolte su una pianta nel periodo che intercorre tra l'acquisto e la sua rivendita sono cruciali per l'inquadramento fiscale dei ricavi nel reddito agrario. ma chi ha l’onere di provare il concreto svolgimento delle operazioni di manipolazione e trasformazione svolte sulle piante acquistate? in linea generale, l'onere della prova nel giudizio tributario segue le regole ordinarie del processo civile, come stabilito dall'art. 2697 c.c. pertanto, l’amministrazione finanziaria è la parte che afferma una pretesa (attrice in senso sostanziale) e deve dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto, invece il contribuente deve provare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto affermato dall'amministrazione. l'onere della prova si differenzia in base al tipo di controversia:. impugnazione di atti impositivi;. ripetizione di somme indebitamente pagate;. applicabilità di esenzioni o agevolazioni: in questo caso, il contribuente, sia formalmente che sostanzialmente attore, deve provare l'esistenza delle condizioni per ottenere l'agevolazione. un caso di rilievo riguarda il regime fiscale previsto dall'art. 32 del tuir per le imprese agricole, che consente loro di determinare il reddito su base catastale, il quale non si basa su ricavi e costi reali, ma su tariffe d’estimo dei terreni. anche se vantaggioso, questo regime non può essere considerato un'agevolazione fiscale. pertanto, la corretta applicazione dell’art. 32 deve essere provata dall’agenzia delle entrate che deve dimostrare che il contribuente ha commercializzato piante senza aver eseguito operazioni di manipolazione. questa prova è difficile da fornire, poiché è complesso dimostrare l'assenza di lavorazioni a posteriori. sicuramente, uno dei primi elementi che le autorità verificano per stabilire se i prodotti acquistati siano stati manipolati è il tempo di permanenza in azienda; se questo è molto breve, si presume che i vegetali siano stati rivenduti senza manipolazione. questa valutazione del “tempo” è stata confermata dalla commissione tributaria provinciale di pistoia nella sentenza 72/2018, che stabilisce che un breve lasso di tempo tra acquisto e rivendita giustifica la presunzione di commercializzazione e inverte l'onere della prova a carico del contribuente. per difendersi efficacemente dalle presunzioni fiscali, i florovivaisti che acquistano e rivendono vegetali dovrebbero creare i presupposti per poter dimostrare a posteriori gli interventi effettuati sulle piante in modo tale poter superare qualsivoglia contestazione da parte del fisco. redazione ©riproduzione riservata
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