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La presenza in azienda di lavoratori non in regola, fa si che possano essere ritenute inattendibili nel loro complesso, le scritture contabili, il che può legittimare la ricostruzione del reddito di impresa con il metodo induttivo. È quanto rilevato dall’ordinanza 24250 della Corte di Cassazione dello scorso 13 Novembre.
La controversia prende origine a seguito dell’emissione di un avviso di accertamento notificato ad una società di ristorazione, il quale è stato prontamente impugnato dai contribuenti innanzi i Giudici tributari. In primo grado la sentenza emessa ha confermato la legittimità della pretesa dell’Agenzia seppur veniva ridotto del 20% il valore accertato. In appello, i Giudici confermavano quanto disposto in prime cure. Anche la Cassazione ha legittimato quanto disposto dai giudici di appello, ritenendo la sentenza ben motivata e pertanto incensurabile in sede di legittimità.
Secondo la Corte, i giudici di secondo grado hanno motivato in modo esaustivo il metodo con il quale sono giunti ad affermare la legittimità del metodo di accertamento adoperato.
Nello specifico, la sentenza ha rilevato come l’accertato utilizzo di tre lavoratori dipendenti, i quali non risultavano nei libri obbligatori, è una circostanza “idonea a far ritenere complessivamente inattendibile la documentazione fiscale e a integrare la presunzione di maggiori ricavi non dichiarati e come il giudice di prime cure, nel rettificare il reddito accertato dall’Ufficio, aveva tenuto conto dei costi dovuti all’autoconsumo”. Ciò ha fatto si che i giudici della suprema Corte rigettassero le doglianze dei ricorrenti.
In deroga alle modalità di accertamento che ordinariamente l’Amministrazione mette in atto, quest’ultima è legittimata a rideterminare un maggior reddito di impresa o di lavoro autonomo, con il metodo induttivo, nei confronti di quei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
Nel caso in cui vi sia una contabilità che risulta inattendibile, ovvero nel caso in cui le irregolarità rilevate siano talmente evidenti da far si che le scritture perdano il carattere privilegiato che altrimenti ad esse è riconosciuto, gli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria sono autorizzati a desumere “l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate… sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.
Come già più volte richiamato dalle sentenze della Corte di Cassazione, la presenza di “scritture contabili regolarmente tenute dal punto di vista formale (…), ma affette, in virtù di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, da incompletezze, inesattezze ed infedeltà” (Cassazione 9884/2002), consentono all’ufficio accertatore di procedere legittimamente all’accertamento analitico induttivo dell’imponibile del reddito di impresa, avvalendosi dei dati forniti dal contribuente, oppure dimostrando anche attraverso presunzioni, con la condizione che soddisfino i requisiti di gravità, precisione e concordanza, l’inesattezza o l’incompletezza di una o più voci delle scritture contabili.
Alla luce di quanto sopra esposto, il fatto che vi fossero tre lavoratori dipendenti in azienda che non risultavano in nessun libro obbligatorio, per i giudici della Suprema Corte, costituisce un fatto dedotto in accertamento certo, risultante del tutto idoneo a ritenere che nel complesso la contabilità non fosse attendibile, cosicché si potesse sostenere che vi fossero maggiori ricavi non dichiarati.
Per quanto concerne l’applicazione della metodologia di calcolo applicata dall’Ufficio, al fine di rideterminare i ricavi, essa risulta del tutto in linea con quanto più volte ribadito dalla Corte, quando tratta di accertamento induttivo relativo alle imprese di ristorazione, secondo cui “una volta calcolata la quantità normale di materie prime necessarie per la preparazione dei pasti, è ragionevole presumere che ne sia stato servito un numero pari al complesso dei generi alimentari acquistati, diviso per le quantità di essi occorrenti per ciascun pasto” (Cassazione sentenza n. 25001 del 2006).
Riteniamo opportuno rilevare, infine, che la fattispecie oggetto della controversia, sia comunque riconducibile anche al settore agricolo, nel momento in cui vi sia la presenza di un’attività agrituristica all’interno dell’azienda.