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La donazione di azienda o di quote societarie è un’operazione che spesso viene vista come soluzione adeguata per far fronte alle esigenze di tutela del patrimonio e di passaggio generazionale.
Dal punto di vista fiscale, ricordiamo da un lato la neutralità relativamente all’imposizione diretta all’art. 58 Tuir, e, dall’altro, l’esenzione dall’imposta di donazione contenuta nell’art. 3, comma 4-ter, del D.Lgs. 346/1990. Le due norme non trovano una perfetta corrispondenza, in quanto, mentre l’art. 58 non prevede particolari condizioni in capo al donatario, l’art. 3, invece, stabilisce che il donatario sia il coniuge o un discendente e che si impegni a detenere l’azienda per almeno un quinquennio.
Tali operazioni sono soggette ad un regime fiscale eccezionalmente agevolato, ma dal punto di vista civilistico presentano una serie di criticità. Prima di tutto occorre evidenziare che le operazioni di donazione sono facilmente aggredibili con l’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.. Nel caso di donazione dell’azienda ai propri figli con lo scopo di fuggire da alcuni creditori, è facilmente comprensibile che questi potrebbero lamentare il fatto che il proprio debitore si è spossessato del patrimonio e che quindi viene lesa la loro tutela creditizia.
Per di più, la donazione è un atto che presenta alcuni problemi anche dal punto di vista della legittima. Si tiene opportuno precisare che la normativa italiana non prevede la possibilità di diseredare gli eredi. La donazione effettuata in vita, pertanto, costituisce un acconto della successiva eredità. Nel caso in cui l’azienda venga donata solamente a favore di un figlio, può essere che alla morte del genitore non vi sia una copertura patrimoniale sufficiente per coprire la legittima dei fratelli.
Inoltre, la donazione potrebbe dar luogo all’obbligo di corrispondere gli alimenti al donante. Tale obbligo, sorge in capo ai familiari se uno dei propri parenti si trova in una situazione di indigenza, quindi, una volta che il donante si è spossessato dei propri beni, l'obbligo potrebbe ricadere in capo al donatario.
Tale strumento risulta inadatto anche ai fini della protezione del patrimonio. Infatti, la donazione del patrimonio in favore dei figli non fa altro che trasferire da una generazione all’altra il rischio di aggressione.
Per raggiungere le finalità proprie dell'istituto sin qui esaminato, uno strumento alternativo di particolare interesse è sicuramente il TRUST che si colloca all’interno delle operazioni destinate a gestire e a proteggere il patrimonio, ma con il superamento di molti limiti intrinseci alla donazione.
Innanzi tutto, viene attenuato il problema della lesione della legittima, in quanto il trustee non è il donatario dei beni, ma bensì solamente un soggetto che ha il compito di gestirli nell’interesse dei beneficiari. Inoltre, il trust risulta efficiente anche sotto il profilo della protezione del patrimonio, in quanto determina un effetto segregativo che ovviamente manca nella semplice donazione. Il trust protegge non solo il disponente, ma anche i beneficiari.
Per quanto concerne l’azione revocatoria, possiamo evidenziare come la segregazione in trust non possa escludere a priori una simile aggressione dai creditori, ma può essere considerato un ottimo strumento di tutela del patrimonio.
In sostanza, i beni in trust non sono di provenienza donativa, in quanto si tratta di un patrimonio affidato ad un trustee con lo scopo di amministrarlo in linea con le regole previste dall’atto istitutivo, ma può essere considerato funzionale a superare i limiti della donazione.