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Una attività florovivaistica può vendere nell’ambito della 228/2001 (disciplina vendita diretta) strumenti strettamente connessi all’attività agricola come vasi, concimi o utensili da lavoro. Al contrario è preclusa la possibilità di commercializzare prodotti che solo marginalmente sono attinenti all’attività di florovivaismo come, ad esempio i barbecue carrellati, i vasi in ceramica, tavoli e sedie in vimini o in plastica ecc.
Questo principio, a nostro avviso assolutamente contraddittorio, è stato espresso dal Consiglio di Stato Sezione V che, con la sentenza 131 del 18 gennaio 2016, si è pronunciato sul caso di un garden a cui veniva contestata la commercializzazione di numerosi prodotti non provenienti dall’attività agricola, come sedie, barbecue, ma anche concimi e utensili per lo svolgimento dell’attività florovivaistica.
È proprio in relazione a questa seconda parte della contestazione che il Consiglio di Stato si esprime in maniera non condivisibile sul concetto di inerenza dei prodotti da giardinaggio.
I Giudici muovono inizialmente dalle tesi della difesa, sostenendo che per una corretta qualificazione della situazione occorre dare una lettura estensiva degli articoli 2135 c.c. e degli artt. 4 e 5 del D. Lgs. 228/2001.
Nel testo della pronuncia, infatti, si legge che “la lettura complessiva che se ne ricava è sicuramente quella di un’ampia liberalizzazione del commercio dei propri prodotti da parte delle aziende agricole, sia nella forma più semplice del fiore, del frutto o della pianta, ma anche in quella più complessa della loro manipolazione oppure di beni a questa connessi, fatto che può inevitabilmente comprendere cose non direttamente derivanti dall’agricoltura, ma ad essa strettamente connesse come vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o strumenti per l’immediato utilizzo della terra come rastrelli o vanghe”.
Pertanto, il Consiglio di Stato apre alla possibilità di commercializzare non solo i prodotti agricoli propri e di terzi (ovviamente in misura non prevalente), ma anche beni industriali, purché connessi all’attività agricola svolta.
I Giudici dapprima colgono perfettamente lo spirito della norma, dandone una interpretazione strettamente correlata alle esigenze delle moderne aziende florovivaistiche, ma poi, esprimendosi in merito al caso concreto, operano una distinzione per nulla condivisibile fra determinate tipologie di prodotti:
“se ad un’azienda florovivaistica deve essere permessa la vendita dei propri prodotti e dei beni strettamente riconducibili alla sua attività, ciò non può comportare che la medesima si renda attiva nella vendita di prodotti che solamente in senso estremamente lato possono avvicinarsi al giardinaggio”. Va quindi esclusa la possibilità di vendere beni accessori vari, “dai barbecue carrellati ai vasi in ceramica, dalle padelle alle graticole, dai tavoli e sedie in vimini o in plastica alle case in legno prefabbricate ad uso deposito da giardino”.
Riteniamo che l’interpretazione dei Giudici Amministrativi contenga una evidente contraddizione, poiché alle moderne aziende florovivaistiche che si occupano anche della realizzazione di parchi e giardini, deve essere consentito di vendere sia vasi, concimi o utensili da lavoro per il giardinaggio, sia barbecue, gazebi o arredo da giardino ecc.. Infatti, tutti questi prodotti sono indispensabili ed inerenti all’attività agricola connessa di prestazione di servizi in agricoltura.
Seguendo l’orientamento del Consiglio di Stato si penalizzerebbero in maniera drammatica le aziende florovivaistiche ubicate su aree agricole (alle quali è preclusa la possibilità di ottenere le autorizzazioni per il commercio al dettaglio di cui al D.Lgs 114/98), costringendole a perdere il confronto commerciale con le aziende operanti in aree urbane che possono munirsi delle autorizzazioni necessarie a vendere anche prodotti di natura puramente commerciale.