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Ai fini dell’imposta di registro, la cessione di tutte le quote societarie non può essere riqualificata come una cessione di azienda: lo ha deciso la CTR Sardegna con la sentenza n. 386/8/2016.
L’oggetto della controversia riguardava il trasferimento, da parte di un socio, del 100% delle quote di una SRL la quale risultava proprietaria di un immobile sito in Costa Smeralda. Trattandosi di una cessione di quote, le parti assoggettavano l’operazione all’imposta di registro in misura fissa.
Di diverso avviso, invece, era l’Agenzia la quale provvedeva a riqualificare l’operazione come cessione d’azienda in base alle disposizioni di cui all’art. 20 del DPR 131/1986. Sulla base di ciò, si affermava che era da applicarsi l’imposta di registro in misura proporzionale: pertanto, l’Agenzia emetteva i relativi avvisi di liquidazione per il recupero della maggior imposta dovuta.
In primo grado, la CTP di Sassari si pronunciava respingendo il ricorso del contribuente, confermando il corretto operato dell’Agenzia e accogliendone le motivazioni. Di segno completamente diverso, invece, il contenuto della sentenza della CTR, la quale disconosceva le argomentazioni della precedente decisione e faceva proprie le tesi difensive del contribuente.
Il giudice di secondo grado, infatti, rilevava come la cessione di azienda e la cessione di quote societarie siano due istituti tra loro distinti, con effetti giuridici, fiscali, gestionali e contabili profondamente differenti. Tali diversità, secondo i giudici, rendono i due istituti infungibili tra di loro: pertanto, la scelta di uno rispetto all’altro non può configurare un intento elusivo.
Certo, la qualificazione dell’operazione come cessione di quote sociali anziché come cessione di azienda consente alle parti di ottenere un legittimo risparmio d’imposta, così come disciplinato dall’art. 10-bis della L. 212/2000, i cui principi si applicano anche all’imposta di registro.
Pertanto, afferma la CTR sarda, l’ufficio non può in alcun modo tassare una cessione di quote sociali applicando l’imposta di registro in misura proporzionale.
La sentenza, inoltre, delimita l’estensione del potere di riqualificazione degli atti che l’ufficio può compiere in merito all’imposta di registro. Ivi si afferma che tale potere attiene agli effetti giuridici degli atti registrati e non alla natura economica sottostante agli stessi.
Tale convincimento, tuttavia, è figlio di un percorso evolutivo che parte dalla L. 585/1862 e che pare essere arrivato a una sua maturazione solo negli ultimi anni. Per lungo tempo, infatti, ci si è chiesti se il potere di riqualificazione dovesse riguardare solo gli effetti giuridici o, in maniera più ampia, anche tenendo conto di quelli economici.
Il testo dell’art. 20 del DPR 131/1986 chiarisce che “l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione”. In sostanza, l’ufficio può tenere conto della natura dell’atto e di eventuali altri atti collegati ai fini della liquidazione dell’imposta, senza fermarsi alla mera forma apparente.
Il potere di riqualificazione, però, non è illimitato: non è infatti possibile dare risalto alle vicende economiche sottese all’atto, né ad eventuali elementi extratestuali desumibili dall’atto. A conferma di ciò, si ricorda che l’imposta di registro è un’imposta d’atto, la quale colpisce proprio l’atto e non il trasferimento in sé.