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Se fondato solamente sui valori definiti per l’imposta di registro, ipotecaria o catastale, l’accertamento della plusvalenza immobiliare è da ritenersi illegittimo. Tale principio è stato ribadito dall’ordinanza n. 1823 della Corte di Cassazione, depositata il 24 gennaio 2017 e vale anche per il passato.
Il caso, su cui si sono pronunciati i giudici di legittimità, riguardava tre avvisi di accertamento, notificati ad altrettanti contribuenti, in cui si rettificava il valore dei redditi dichiarati in relazione alla vendita di un’area edificabile.
Contro il ricorso dei contribuenti, i quali affermavano che il maggior corrispettivo non era stato sufficientemente provato, l’Agenzia sosteneva che i maggiori redditi si potevano presumere in base al prezzo definito dagli stessi, in sede di adesione, ai fini dell’imposta di registro.
Mentre in primo grado la CTP accoglieva le ragioni dei tre ricorrenti, la CTR si pronunciava in senso opposto, sostenendo che i contribuenti non avevano fornito sufficienti prove per superare la presunzione dell’amministrazione.
La controversia veniva poi portata in Cassazione, dove si è chiesto ai giudici di legittimità di chiarire se la pretesa dell’Agenzia ai fini delle imposte dirette, seppur basata solo su un’adesione relativa ad una diversa imposta, fosse fondata.
La risposta a questa domanda è contenuta nell’art. 5, comma 3 del D. Lgs. 147/2015: in tale norma si legge che “per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l'esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro […] ovvero delle imposte ipotecaria e catastale”.
La norma sopra richiamata, tuttavia, è stata approvata solo nelle more del processo, visto che la controversia aveva ad oggetto l’accertamento dell’imposta sui redditi per l’anno 2006. Ci si chiedeva quindi se la previsione potesse applicata in maniera retroattiva o se, al contrario, fosse inapplicabile al caso di specie.
La Cassazione ha ritenuto che l’art. 5 comma 3 del D. Lgs. 147/2015 sia una disposizione di chiaro carattere interpretativo e, in quanto tale, applicabile retroattivamente anche a fatti avvenuti prima della sua emanazione. Così facendo, i giudici hanno confermato un orientamento già consolidato, visto che la Corte si era già pronunciata in tal senso con le sentenze 7488/2016 e 22221/2016.
Concludendo, quindi, il maggior corrispettivo rilevante ai fini delle imposte dirette non può mai essere presunto sulla base del valore della cessione dichiarato, accertato o definito ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale.
Si tratta di un principio estremamente importante, in quanto spesso gli Uffici rettificano le plusvalenze dichiarate dai venditori di immobili solo sulla base degli accertamenti delle imposte indirette definiti dagli acquirenti e della relativa presunzione di maggior corrispettivo percepito.
Con la previsione dell’art. 5 comma 3 del D. Lgs 147/2015 e in forza dei principi contenuti in questa sentenza, però, non sarà più necessario per il contribuente dimostrare il contrario: tale contestazione, infatti, sarà completamente illegittima.