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Passato ormai poco più di un anno dall’emanazione del D.L. n.59/2016 che ha introdotto in maniera formale il patto marciano è necessario compiere una breve analisi del “nuovo” istituto e di come questo si vada ad inserirsi nel quadro normativo e di come incida nei rapporti fra le imprese e le banche.
Il patto marciano può essere definito come l’accordo fra le parti di un rapporto obbligatorio assistito da garanzia reale, con il quale si conviene che il creditore, qualora il debitore alla scadenza risulti inadempiente, acquisti la proprietà della cosa ricevuta in pegno o ipoteca.
Il valore di cessione, in caso di efficacia del patto, viene determinato da un perito indipendente, nominato dal presidente del tribunale del luogo nel quale si trova l’immobile, su istanza del creditore insoddisfatto.
Se il valore del bene al momento della cessione è superiore al debito residuo, il creditore corrisponde al debitore la differenza tra i due valori; qualora, invece, il valore del bene è inferiore al debito residuo, il debitore non dovrà corrispondere nulla al creditore.
Il decreto legge n. 59/2016 (c.d. “Decreto Banche”), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 3 maggio 2016 ed entrato in vigore il giorno seguente alla pubblicazione ha espressamente introdotto all’art. 2, tra le altre cose, la possibilità per le imprese di garantire i finanziamenti tramite il trasferimento sospensivamente condizionato di un bene immobile, secondo gli schemi propri del c.d. “patto marciano”. Il decreto prevede inoltre che le parti possano introdurre il “patto marciano” anche in fase di rinegoziazione del finanziamento e quindi anche sui finanziamenti già in essere.
La finalità della norma appare quelle di favorire l’accesso delle imprese al credito e ed assicurare efficacia e rapidità alle procedure di recupero.
È importante ricordare che anche prima dell’entrata in vigore del Decreto Banche, la giurisprudenza riteneva lecito il “patto marciano”, come stabilito anche recentemente dalla Suprema Corte, secondo cui: “Il patto marciano che preveda, al momento dell’inadempimento, un procedimento tale da assicurare la stima imparziale del bene entro tempi certi esclude la violazione del divieto di patto commissorio e, conseguentemente, la nullità per illiceità della causa del contratto […] al quale sia apposto”. (Cassazione civile sez. I, 28 gennaio 2016 n. 1625).
In sostanza, per il tramite del “patto marciano”, le parti possano garantire un credito mediante la stipula di un contratto di cessione di un bene di proprietà del debitore, che diviene efficace esclusivamente in caso di inadempimento di quest’ultimo.
Nella forma introdotta dal Decreto Banche, nel caso di rimborso tramite rate mensili, si ha inadempimento quando:
Da ultimo è importante porre l’attenzione sul “vulnus” del regolamento consistente nella mancata previsione della tutela giurisdizionale e il conseguente concreto pericolo che le banche possano appropriarsi senza remore dei beni delle imprese finanziate.
Appare davvero strano che il Legislatore, in sede di conversione, non abbia proposto alcun emendamento per il decreto legge prevedendo la tutela giudiziale successiva alla dichiarazione volitiva degli effetti di trasferimento da parte del creditore. Le uniche agevolazioni concesse al debitore consistono nell’allungamento dei tempi dell’inadempimento che passano da sei a nove mesi.
Specificamente, è necessario che il mancato pagamento si protragga da oltre nove mesi, ma nel caso in cui alla scadenza della prima delle rate non pagate il debitore abbia già rimborsato il finanziamento in misura pari ad almeno l’85% della quota capitale, il periodo di inadempimento è elevato a dodici mesi.
Appare un palliativo che nasconde momentaneamente quella che è la vera finalità della norma che sacrifica la tutela delle imprese alla possibilità di recuperare il credito concesso da parte delle banche.