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La corretta interpretazione del concetto di esercizio esclusivo delle attività agricole contenuta nell’art. 2, comma 2 del D. Lgs. 99/2004 tormenta da tempo il sonno degli esperti fiscali in agricoltura, poiché dal rispetto di questo parametro dipende la stessa qualifica di IAP delle società agricole.
Tale qualifica attribuisce all’agricoltore numerose agevolazioni sia dal punto di vista fiscale (si pensi alla PPC o alla presunzione di non fabbricabilità per le aree edificabili) che civilistico (la prelazione agraria per i soggetti IAP introdotta L. 154/2016); senza contare la possibilità di presentare domande per i PSR che richiedono espressamente il possesso della qualifica di IAP per accedere ai benefici.
Un importante chiarimento sul tema è arrivato dalla Regione Emilia Romagna che, con un parere giuridico, ha stabilito che la vendita dei prodotti agricoli di terzi può rientrare nell’esercizio esclusivo dell’attività agricola, facendo proprio l’orientamento proposto con una specifica richiesta di parere dagli esperti di Consulenzaagricola.it.
Come noto, l’art. 4 del D.Lgs. 228/2001 ha esteso agli agricoltori la possibilità di vendere direttamente i prodotti propri senza soggiacere agli obblighi generalmente posti dalla disciplina del commercio al dettaglio (L. 114/1998). La vera novità introdotta dalla legge di orientamento, però, riguarda l’estensione di tale possibilità anche per le cessioni di prodotti agricoli acquistati da terzi, purché sia rispettato il requisito della prevalenza.
Se da un punto di vista fiscale vi sono pochi dubbi, visto che i redditi derivanti dalla cessione di beni acquistati da terzi vengono dichiarati nel quadro relativo al reddito di impresa, decisamente meno chiara è la situazione sotto il profilo amministrativo di tale attività, con particolare riferimento al coordinamento della fattispecie con l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2 del D. Lgs. 99/2004.
La richiamata norma, infatti, stabilisce che possono essere qualificate come società agricole IAP le società che:
Proprio in relazione a quest’ultimo punto, la cessione di prodotti agricoli di terzi ha creato dubbi interpretativi. Infatti, pur rientrando nel novero delle attività connesse ex art. 2135 c.c., secondo alcuni, tali cessioni dovevano considerarsi come un’attività di per sé commerciale, in grado di compromettere l’esercizio esclusivo dell’attività agricola.
Questa interpretazione deriva dai chiarimenti offerti dall’Agenzia in materia fiscale, secondo cui rientrano fra le attività connesse esclusivamente i prodotti acquistati da terzi in misura non prevalente solo se sottoposti ad una procedura di manipolazione o trasformazione.
Chiamata a pronunciarsi sul punto, la Regione Emilia Romagna ha operato una netta distinzione fra disciplina civilistica e fiscale, affermando che “l’esclusività dell’oggetto sociale in ambito agricolo risulta rispettato anche ove si sia in presenza di vendita di prodotti agricoli provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende; infatti si ritiene che l’attività di vendita diretta, intesa come commercializzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dall’azienda agricola, possa essere considerata a tutti gli effetti attività connessa”.
Ciò significa che la mera commercializzazione di prodotti agricoli di terzi (anche se non sottoposti a manipolazione/trasformazione) non pregiudica il requisito dell’esercizio esclusivo dell’attività agricola di cui all’art. 2135 c.c., purché si rispettino i requisiti della vendita diretta, primo fra tutti quello della prevalenza.
La prevalenza, come indicato nel parere della Regione, dovrà essere calcolata utilizzando seguenti criteri:
Un altro requisito evidenziato nel parere è il necessario rispetto dei limiti dimensionali previsti dall’art. 4, comma 8 del D. Lgs. 228/2001: non rientrano nel regime della vendita diretta i casi in cui l’azienda, nell’anno solare precedente, abbia ricavato dalla vendita dei prodotti agricoli di terzi più di 160.000 euro per gli imprenditori individuali o più di 4.000.000 di euro per le società.
I principi finora esposti, giova precisarlo, si riferiscono ad un imprenditore agricolo (in forma societaria) che acquista e rivende in misura non prevalente prodotti agricoli di terzi. Talvolta, nella prassi, accade che gli operatori cedano anche prodotti di terzi non agricoli: si pensi, ad esempio, al florovivaista che vende barbecue o gazebo. Attività come questa, però, vanno senz’altro qualificate come commerciali e idonee a far perdere prima l’esercizio esclusivo dell’attività agricola, poi la qualifica di IAP all’agricoltore.
Va infine sottolineato che i principi sopra esposti sono contenuti in un parere offerto dalla Regione Emilia Romagna, ma auspichiamo che questo orientamento possa essere presto condiviso a livello nazionale.