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La Suprema Corte ha chiarito che le interpretazioni della normativa tributaria, contenute in circolari o in risoluzioni dell’Agenzia, non costituiscono fonte del diritto e, quindi, non possono imporre ai contribuenti nessun adempimento, se non previsto dalla legge.
Il tema è di grande attualità, in quanto sempre più spesso l’Amministrazione Finanziaria utilizza strumenti come le circolari, le risoluzioni, ma anche i semplici comunicati stampa in maniera normativa, considerandoli come veri e propri atti vincolanti e non come documenti contenenti elementi per la corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni di legge.
A titolo di esempio, si pensi al recente caso dei comunicati stampa che hanno più volte prorogato i termini per l’invio degli spesometri.
Entrando nello specifico della questione, è noto che gli atti emanati dall’Agenzia hanno la finalità di suggerire agli uffici periferici i criteri di comportamento da seguire nella concreta applicazione delle norme di legge. Nella prassi, questi atti concorrono alla risoluzione di aspetti pratici, ma non hanno un carattere obbligatorio. La convinzione che questi abbiano un valore normativo nasce dal fatto che essi consistano in comportamenti abituali che si ripetono nel tempo. Nella realtà, hanno un’applicazione molto limitata e non assumono valore normativo se non citano una norma specifica di riferimento.
Su tale materia si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25905/2017, confermando quanto sopra esposto.
La vicenda al centro della controversia trae origine dal ricorso in Cassazione di un contribuente al quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato un avviso di recupero del credito d'imposta (art. 8 L. 388/2000) per non aver il contribuente annotato, sulle fatture di acquisto dei beni oggetto dell'investimento, la dicitura di "bene acquistato con il credito d'imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8".
A sostegno della propria tesi, l’Agenzia ha sostenuto che l’apposizione della dicitura “bene acquistato con il credito d’imposta di cui all’art. 8 della legge 23.12.2000 n. 388” sulle fatture relative all’acquisto di beni o servizi per i quali è applicabile l’agevolazione fiscale, fosse un requisito di natura sostanziale, la cui assenza non poteva che comportare la revoca dell’agevolazione.
Questo veniva affermato sulla base delle previsioni di due circolari (41/E/1991 e 38/E/2002), ma una siffatta interpretazione non trova alcun riscontro nella norma che disciplina il credito di imposta.
La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha fatto proprie le tesi sostenute dal contribuente, affermando che le circolari ministeriali non possono sostituirsi alle fonti primarie del diritto introducendo cause di revoca delle agevolazioni che non siano contemplate dalla legge.
Il pronunciamento dei Giudici di legittimità è particolarmente interessante, poiché ribadisce un principio sacrosanto che troppo spesso dimentichiamo: le circolari e le risoluzioni sono strumenti interpretativi dell’Amministrazione e, come tali, devono essere utilizzati dal contribuente virtuoso per orientare la propria condotta, ma non possono discostarsi dalla normativa di riferimento, unico provvedimento in grado di vincolare le scelte del contribuente.