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Sembra pressoché impossibile, ma ciò non sembra essere condiviso dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 29192/2017, ha affermato che sono dovute le imposte locali (ICI nel caso in esame, IMU e TASI oggi) su un terreno agricolo su cui sono in corso opere di costruzione o ristrutturazione di immobili rurali.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, durante il periodo di esecuzione dei lavori, il fondo perde temporaneamente la qualifica di “terreno agricolo”, diventando a tutti gli effetti un’area edificabile, su cui il proprietario è tenuto a pagare le imposte secondo la disciplina di cui all’art. 5, comma 6 del D. Lgs. 504/1992.
In forza di tale previsione, argomenta la Corte di Cassazione richiamando anche la risoluzione 209/E/1997, nel periodo intercorrente tra il rilascio della concessione edilizia per lo svolgimento dei lavori e l’ultimazione di questi ultimi, il suolo deve essere considerato come area fabbricabile, indipendentemente dalla sua identificazione in base agli strumenti urbanistici.
Contraddicendo quanto avevano sostenuto i giudici di merito nei primi due gradi di giudizio, la Cassazione è arrivata a tali, scioccanti, conclusioni, decidendo del caso di una ditta individuale agricola, la quale aveva ottenuto una concessione edilizia per la costruzione di un capannone da adibire alla conservazione ed alla lavorazione dei prodotti agricoli.
A seguito dei lavori, però, l’agricoltore si vedeva recapitare diversi accertamenti per il recupero delle imposte locali non versate per il periodo dei lavori: secondo l’Ufficio, il terreno era divenuto temporaneamente un’area edificabile. E tale convincimento, come detto, è stato fatto proprio anche dalla Cassazione.
Gli Ermellini hanno sostenuto che i lavori di costruzione o di recupero edilizio distolgono il suolo dalla sua natura agricola, rendendolo un’area edificabile in base ad una sorta di “finzione giuridica” uguale e contraria a quella prevista dall’art. 2 del D. Lgs. 504/1992, il quale sancisce che “sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell'articolo 9, sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali”.
La sensazione è che i giudici abbiano sottovalutato un aspetto decisivo della situazione: mentre quella per i terreni edificabili utilizzati ai fini agricoli è una agevolazione introdotta normativamente dalla legge, non sembra possibile operare un’interpretazione a rovescio, desumendo una compressione di diritti (di dubbia legittimità) per i proprietari di terreni agricoli.
Accogliendo l’impostazione adottata dalla Cassazione, peraltro, si arriverebbe a risultati paradossali: sull’area non sarebbe dovuta alcuna imposta prima del rilascio della concessione edilizia, per poi pagare integralmente le imposte (ICI/IMU e TASI) durante i lavori, ed infine versare la sola TASI (se dovuta) per il fabbricato rurale se dovuta.
Si tratta di conclusioni illogiche, così come illogico è che l’utilizzo edificatorio di un’area agricola per la costruzione di un fabbricato rurale possa essere assimilato alla qualificazione di un terreno come edificabile. In massima sintesi, occorre dirlo: questa volta la Cassazione ha davvero preso un granchio.