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Può accadere che i terreni agricoli siano oggetto di variazioni colturali, con relativa modifica del valore dei redditi fondiari del terreno. Ma lo stesso può valere per aree edificabili o fabbricati, che siano oggetto di variazioni catastali.
Per poter correttamente determinare i tributi comunali (ieri ICI, oggi IMU), i proprietari devono essere in possesso di alcuni dati fondamentali, tra cui il valore dei redditi dominicali degli immobili: tali importi, infatti, rappresentano la base di calcolo dell’imposta.
Sul tema, è di qualche settimana fa la pronuncia della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 4613/2018, ha deciso sul caso di un coltivatore diretto che aveva ereditato un fondo rustico. Tale terreno era stato oggetto di variazione colturale nel marzo 2007, variazione che aveva determinato un aumento del reddito agrario.
In forza della previsione dell’art. 5, comma 7 del D. Lgs. 504/1992, le variazioni delle rendite effettuate dall’Agenzia erano da ritenersi operanti a partire dal 1° gennaio 2008, in quanto svolte nel corso dell’anno 2007. Di opinione diversa, però, si è mostrato l’Ufficio, il quale emanava un avviso di accertamento volto a recuperare le maggiori imposte non versate.
Sul ricorso presentato, la CTP accoglieva le ragioni del contribuente, mentre in senso opposto si esprimevano i giudici di appello, i quali evidenziavano che l’omessa denuncia di variazione colturale entro il termine del 1° gennaio 2007 e la presentazione di richieste di contributi pubblici, testimoniavano un doloso silenzio da parte del coltivatore, giustificando così il recupero delle imposte svolto dall’Agenzia.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul punto, ha affermato che, pur sussistendo il potere di accertamento del Comune per le annualità precedenti, esso non può essere esercitato con riferimento agli anni antecedenti alla rettifica.
In base al richiamato principio generale di cui all’art. 5, comma 7 del D. Lgs. 504/1992 (art. 13, comma 5 del D. L. 201/2011 per l’IMU) le risultanze catastali, divenute definitive per mancata impugnazione, acquistano efficacia a partire dall’anno d’imposta successivo a quello in cui vengono annotate negli atti catastali (la cosiddetta “messa in atti”).
Tanto premesso, la Corte conferma il suo orientamento, sostenendo che le variazioni di rendita catastale o dominicale (a seconda che si tratti di fabbricati o terreni) intervenute in corso d’anno hanno effetto solo dall’anno successivo a quello in cui vengono annotate in Catasto (cfr. anche Risoluzione Ministeriale n. 226 del 27 novembre 1997).
Unica eccezione a questo principio generale, ricorda la Cassazione, è quello in cui le modifiche intervengano per correggere un mero errore materiale: essendo, infatti, immutata la situazione di fatto da un periodo precedente a quello di variazione catastale, si ritiene che l’Agenzia possa effettuare contestazioni anche in via retroattiva.
In caso contrario, però, non è possibile per l’Ufficio avanzare contestazioni per un periodo precedente a quello della variazione. Pertanto, nel caso in esame, i giudici hanno confermato come corretto l’operato del contribuente, rigettando ogni addebito.